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di Rossella Gemma

Circa 99 morti su 100 a causa del Covi-19, a partire dallo scorso febbraio, non avevano terminato il ciclo vaccinale, e fra quelli che invece lo avevano completato si riscontra un'età media più alta e un numero medio di patologie pregresse maggiori rispetto alla media. A specificarlo è il report periodico sui decessi dell'Istituto superiore di sanità. L'analisi è basata su un campione di 70 cartelle cliniche dei 423 decessi Sars-CoV-2 positivi avvenuti fino al 21 luglio 2021 in vaccinati con ciclo vaccinale completo (16,5%). Rispetto alla totalità dei decessi per cui sono state analizzate le cartelle cliniche, nel campione dei deceduti con «ciclo vaccinale completo» l'età media risulta decisamente elevata (88.6 contro 80 anni). Inoltre, il numero medio di patologie osservate in questo gruppo di decessi è di 5,0, molto più elevato rispetto ai decessi della popolazione generale (3,7).

Dopo l'insufficienza respiratoria acuta, le sovrainfezioni sono le complicanze maggiormente diffuse nelle persone decedute con ciclo vaccinale completo. Terapia antibiotica e steroidea sono le terapie più utilizzate su questi pazienti. “I risultati - conclude il report - possono avere due possibili spiegazioni. In primis, i pazienti molto anziani e con numerose patologie possono avere una ridotta risposta immunitaria e pertanto essere suscettibili all'infezione da SARS-CoV-2 e alle sue complicanze pur essendo stati vaccinati. In secondo luogo, questo risultato può essere spiegato dal fatto che é stata data priorità per la vaccinazione alle persone più anziane e vulnerabili e che quindi questa rappresenta la popolazione con maggiore prevalenza di vaccinazione a ciclo completo alla data in cui è stata eseguita questa valutazione”.

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di Rossella Gemma

Spingere ancora piu' in alto la curva delle persone immunizzate in Italia, che "devono proteggere se stesse e le loro famiglie", ma anche continuare a dare "serenita' a questa estate" con il green pass, che "non e' un arbitrio ma una condizione per non chiudere le attivita' produttive. Il premier Mario Draghi lancia le nuove applicazioni del certificato verde - dai ristoranti alle palestre - previste nel decreto presentato in queste ore. E ripete il suo appello sulle vaccinazioni, senza le quali "si deve chiudere tutto, di nuovo". Parole a cui segue anche un duro monito nei confronti di scettici e no vax: "l'appello a non vaccinarsi e' un appello a morire", dice. Restano dei nodi, come la ripresa della scuola in presenza, i trasporti e l'utilizzo del lasciapassare anche per l'accesso ai luoghi di lavoro: "Ci stiamo pensando - spiega -. E' una questione complessa e da discutere con i sindacati". E su quella di far rientrare in presenza i dipendenti della pubblica amministrazione, aggiunge: "la sta affrontando Brunetta, ma fara' parte dell'area del lavoro che non abbiamo ancora toccato". Intanto l'obbligo del green pass per l'accesso a diverse attivita' entra nel decreto, ma la sua introduzione e' posticipata di due settimane proprio per dare il tempo necessario di uniformarsi alle regole: entrera' in vigore il 6 agosto con tamponi a costo calmierato per le famiglie e per chi non puo' vaccinarsi. Il certificato verde - valido gia' solo con una dose o con test negativo entro le 48 ore - sara' necessario per ristoranti al chiuso, spettacoli all'aperto, centri termali, piscine, palestre, fiere, congressi e concorsi. Servira' anche nei bar ma non per consumare al bancone, anche se al chiuso. Non ripartiranno le discoteche, con i gestori ora nuovamente in protesta.

Ma, e' stato annunciato, arriveranno 20 milioni per le attivita' chiuse causa Covid, fondi che andranno in particolare proprio alle discoteche: sul provvedimento - ha garantito Draghi - c'e' accordo pieno in Cdm. Definite anche le soglie massime di ospedalizzazione che determineranno, piu' dell'incidenza, l'assegnazione dei colori alle regioni: sotto il 10% di occupazione dei posti letto in terapia intensiva e sotto il 15% nei reparti ordinari si resta in zona bianca, oltre quella soglia si va in gialla. Sforando invece rispettivamente con il 20 e 30% si passa in arancione e con 30 e il 40% c'e' la zona rossa. E' stata anche confermata la proroga dello stato di emergenza, fino alla fine del 2021. Le prime indicazioni sui provvedimenti sono emerse dopo la cabina di regia riunita dall'Esecutivo. Poi il confronto con le Regioni, alle quali il Governo ha illustrato le linee generali del decreto prima che andasse in Cdm e da cui sono emersi i dubbi di vari presidenti. Alcuni governatori delle piccole regioni hanno espresso il timore che l'aggiornamento dei nuovi parametri possa esporli al rischio di passare in zone di colore piu' restrittive. Tra questi ci sono Tesei dell'Umbria e Lavevaz della Valle D'Aosta il quale, parlando di "inapplicabilita'" degli indicatori, paventa il "rischio di 'chiudere' per soli due o tre pazienti positivi ricoverati nell'unico ospedale regionale". Sui temi legati al green pass i governatori hanno invece chiesto di inviare quantitativi di vaccini adeguati all'eventuale aumento delle prenotazioni per le inoculazioni, spinte probabilmente dall'estensione del certificato verde. Un'inversione di tendenza nella somministrazione delle prime dosi si e' gia' registrata negli ultimi giorni: sono infatti tornate sopra quota 100mila al giorno, con un livello massimo di oltre 120mila primi vaccini inoculati. Nell'arco della prima meta' della settimana si e' superata complessivamente la quota di oltre 400 mila prime dosi.

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di Rossella Gemma

Prevenire il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS) nei bambini nel primo anno di vita deve tornare ad essere una priorità, basti pensare che a livello globale, proprio nei bambini sotto 1 anno di età il VRS rappresenta in assoluto la seconda causa di mortalità dopo la malaria, la prima causa di mortalità tra le infezioni respiratorie e la prima causa assoluta di ospedalizzazione. Mai come in questo periodo di pandemia ci si è resi conto dell’importanza della prevenzione e in particolare della prevenzione di virus respiratori che possono portare complicanze gravi anche a distanza di tempo. Nonostante questa maggiore sensibilità, ci sono ancora delle patologie altamente contagiose e pericolose, per le quali è urgente mettere in atto misure correttive che mirino ad un maggior contenimento e a una migliore gestione. Nel corso della Web Conference organizzata da MA Provider, grazie al contributo non condizionato di Sanofi Pasteur, è stato presentato un Documento, messo a punto da un gruppo multidisciplinare di esperti, che contiene una valutazione del reale impatto del VRS sulla popolazione dei bambini e sul sistema sanitario e indica una serie di strategie per migliorare la prevenzione e la gestione del virus.

Il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS), classificato come pneumovirus, è il patogeno più frequentemente responsabile di infezioni respiratorie nei bambini entro i 2 anni di età e causa una vasta gamma di manifestazioni cliniche, incluse infezioni alle alte e alle basse vie respiratorie, di cui la più diffusa è rappresentata dalla bronchiolite. Quasi tutti i bambini vengono infettati dal VRS almeno una volta entro i 2 anni di età e, di questi, il 50% può infettarsi anche una seconda volta. I principali fattori che determinano il rischio di ospedalizzazione da VRS in età pediatrica sono la nascita durante la stagione di circolazione del virus, in Italia tra novembre ed aprile, e l’età inferiore ai 7 mesi di vita all’inizio della stagione di VRS, in Italia a novembre. È stato stimato che, solo per l’anno 2015, nei bambini di età inferiore a 5 anni si sono verificati nel mondo circa 33,1 milioni di episodi di infezioni delle basse vie respiratorie (LRTI) da VRS, circa 3,2 milioni di ospedalizzazioni e quasi 120 mila morti.

“Il VRS è ancora responsabile della maggior parte delle ospedalizzazioni in pediatria e l’infezione da esso provocata, soprattutto nel bambino al di sotto dei due anni, si connota spesso come una malattia che può richiedere cure semiintensive e intensive. – dichiara il Prof. Alberto Villani, Past President Società Italiana di Pediatria; Direttore Dipartimento Emergenza e Accettazione; Responsabile Unità Operativa Complessa Pediatria Generale Unità di Ricerca Patogenesi e Terapie Innovative in Infettivologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – Non va dimenticato, inoltre, che un’infezione da VRS nei primi due anni di vita non solo può essere pericolosa per la vita stessa del bambino, ma rappresenta anche un evento sfavorevole allo sviluppo sano e armonico dell’apparato respiratorio. L’epigenetica poi ha mostrato che tutto ciò che interferisce con lo sviluppo, soprattutto dell’apparato respiratorio, ha delle conseguenze non solo nel corso dell’infanzia ma anche nell’età adulta avanzata. Da qui l’enorme valore della prevenzione di questo virus in tutti i bambini nei primi 1000 giorni di vita.

”Ad oggi, non esiste alcuno strumento per prevenire il VRS in tutti i bambini nel primo anno di vita, né abbiamo a disposizione una terapia efficace per la malattia da VRS in età pediatrica, mentre l’unico trattamento possibile è per lo più di sollievo sintomatico e di eventuale supporto respiratorio. Un notevole passo avanti è stato compiuto grazie agli anticorpi monoclonali che consentono la prevenzione di gravi affezioni del tratto respiratorio inferiore. Tuttavia, attualmente ci sono delle restrizioni legate al setting di popolazione indicata, alla durata della protezione fornita e ai costi di somministrazione. Ad oggi gli anticorpi monoclonali disponibili, infatti, sono indicati solamente per i nati pretermine (≤35 settimane di gestazione) e con gravi condizioni patologiche, mentre la protezione conferita da una singola dose dura circa un mese, rendendo quindi necessarie somministrazioni mensili nel corso della stagione epidemica. “Gli effetti negativi dell’infezione acuta da VRS sono molto conosciuti nella pratica clinica e rendono sempre più evidente l’importanza della prevenzione. L’approccio ad oggi utilizzato prevede una profilassi destinata ad una piccola percentuale di neonati e bambini, tralasciando però le conseguenze acute e croniche gravi che il VRS può causare in tutti gli altri – afferma il Prof. Fabio Mosca, Presidente Società Italiana di Neonatologia SIN; Direttore U.O. Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico – La possibilità di disporre di nuovi approcci terapeutici che consentano di estendere, con un migliorato rapporto costi\benefici, la profilassi a tutti i neonati in vista della stagione epidemica da VRS potrà costituire un ulteriore significativo miglioramento delle cure neonatali e pediatriche. Avere a disposizione delle nuove soluzioni più durature e potenti dal punto di vista della protezione consentirebbe, oltre che una migliore tutela della popolazione dei bambini, anche una più semplice gestione dei pazienti e un risparmio di risorse per il Sistema Sanitario Nazionale.” Il virus respiratorio sinciziale è la principale causa di malattie respiratorie che causano ospedalizzazione nell’infanzia. Per le famiglie colpite, il ricovero da VRS è associato a notevoli perdite in termini di tempo, finanze e produttività; l’infezione da VRS, infatti, è responsabile di un numero considerevole di visite ambulatoriali e di assistenza primaria con un impatto economico simile a quello previsto per l’ospedalizzazione. Inoltre, oltre ai costi sanitari per la malattia acuta, VRS è anche associato ad un notevole onere economico dovuto alle conseguenze a lungo termine dell’infezione, come ad esempio la necessità di visite di follow-up e possibili successivi ricoveri ospedalieri. "Il lavoro di sintesi contenuto nel Documento parte da un punto estremamente rilevante, ovvero che la prevenzione, come dimostrato ampiamente de recenti studi (WHO, 2020), può migliorare anche la sostenibilità economica. L'attuale gestione delle infezioni da VRS è impattata da copertura parziale delle categorie a rischio, da ospedalizzazioni (sia ricoveri in reparti di degenza sia ricoveri in terapia intensiva) e da alti costi. - afferma il Prof. Francesco Saverio Mennini, Direttore, Centre for Economic Evaluation and HTA (EEHTA), Facoltà di Economia Università di Roma "Tor Vergata" e Presidente SiHTA - Il virus respiratorio sinciziale determina effetti negativi sia in termini economico gestionali per il sistema sanitario sia in termini di impatto economico per i caregivers e il sistema welfare nel suo complesso (costi diretti e costi indiretti). Il Gruppo di lavoro ritiene pertanto fondamentale prevedere l'immunizzazione precoce di tutti i bambini che nascono durante la stagione VRS e di tutti quei bambini che all'inizio della stagione hanno un'età inferiore 7 mesi. Questa strategia porterebbe ad una riduzione delle ospedalizzazioni di bronchiolite da VRS in tutti i bambini nel primo anno di vita e di conseguenza ridurrebbe le risorse sanitarie che oggi invece sono necessarie per la gestione territoriale ed ospedaliera, il tutto accompagnato anche da una significativa riduzione dei costi indiretti."

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di Rossella Gemma

Nuovo aggiornamento nelle linee guida per il trattamento dei malati di Covid: l'Organizzazione mondiale della sanita' (Oms) ha inserito due farmaci che bloccano il recettore dell'interleuchina-6, tocilizumab e sarilumab, due anticorpi monoclonali usati anche per l'artrite reumatoide. I due farmaci sono indicati per i malati in condizioni gravi e vanno presi insieme ai corticosteroidi, come spiega l'Oms sul suo sito. Si tratta dei primi medicinali rivelatisi efficaci contro il Covid, dopo i corticosteroidi raccomandati dall'Oms lo scorso settembre. Questi anticorpi monoclonali agiscono bloccando l'eccessiva reazione immunitaria che spesso si sviluppa nei malati di Covid. La decisione e' arrivata sulla base dell'analisi dei dati di oltre 10.000 pazienti coinvolti in 27 studi clinici, che hanno mostrato una riduzione delle morti del 13% rispetto alle cure standard e del 28% delle probabilita' di essere sottoposti a ventilazione meccanica. Cio significa che si hanno 15 morti in meno ogni 1000 pazienti e 23 pazienti in meno intubati. "Questi farmaci offrono una speranza a pazienti e familiari colpiti dall'impatto devastante delle forme gravi di Covid, anche se rimangono inaccessibili e fuori dalla portata della maggior parte del mondo", sottolinea il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. La distribuzione iniqua dei vaccini, continua, "significa che gli abitanti dei paesi a basso e medio reddito sono piu a rischio di forme gravi di Covid. Il maggiore bisogno di questi farmaci e' proprio nei paesi che attualmente vi hanno meno accesso. Serve un cambio urgente su questo". Per migliorare l'accesso a questi prodotti salva-vita, l'Oms chiede alle aziende di ridurre i prezzi e rendere disponibili le forniture per i paesi a basso e medio reddito, soprattutto quelli dove il Covid e' in aumento, oltre a siglare accordi trasparenti. Ha manifestato anche interesse a inserirli nel suo Programma di Prequalificazione dei Farmaci, con cui allarga la disponibilita' di farmaci forniti dalle organizzazione internazionali per bisogni urgenti di salute, garantendone la qualita e riducendo i prezzi.

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di Rossella Gemma

Più pediatri che geriatri. Le culle si svuotano, gli anziani aumentano: nonostante questo in Italia, uno dei Paesi più vecchi del mondo con circa 13 milioni di over 65 e appena 400.000 nuovi nati all’anno, ci sono più medici dedicati all’assistenza dei più piccoli, 7500, che specialisti in grado di gestire gli anziani, appena 4300. Inoltre, nei prossimi tre anni il fabbisogno di specialisti in Geriatria è addirittura in calo in base al numero di borse di specializzazione previste: da 347 per l’anno in corso a 319 nel 2023. In pratica in tre anni saranno cumulativamente ammessi alla specializzazione di Geriatria 1008 medici va fronte di 2287 a quella in Pediatria. Gli esperti della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) e della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (SIGOT) lanciano l’allarme: senza un adeguato numero di geriatri a gestire la valutazione e la terapia dei tanti over 65 con molteplici malattie croniche, sarà impossibile prendersi carico di una popolazione che ha bisogno di risposte di cura su misura e che è sempre più fragile anche a causa della pandemia, che ha evidenziato le aumentate necessità di risorse da dedicare alla gestione degli anziani. SIGG e SIGOT chiedono perciò che venga rivalutato il fabbisogno di geriatri e anche che vengano rese disponibili le Unità di Geriatria in tutti gli ospedali italiani, eventualmente rimodulando una parte dei 26.000 posti letto nelle Medicine Interne in posti letto di Geriatria.

Le linee di indirizzo della riforma del SSN incluse nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stabiliscono un ruolo centrale per l’assistenza domiciliare e prevedono una ristrutturazione importante dell’assistenza residenziale, le cui carenze sono apparse drammaticamente evidenti in occasione della pandemia: tutto ciò è apprezzabile, ma perché le cure domiciliari e residenziali abbiano il miglior rapporto costo/efficacia è indispensabile che a gestirle siano i geriatri – spiegano  Francesco Landi e Alberto Pilotto, rispettivamente presidenti SIGG e SIGOT – Il geriatra è infatti il medico della complessità per l’anziano, colui che può valutarne la situazione a livello multidimensionale migliorando gli esiti e riducendo al contempo mortalità, ricoveri inappropriati, disabilità fisica e cognitiva. Il numero di professionisti in grado garantire una gestione mirata ed efficace di pazienti particolarmente complessi come gli anziani è tuttavia insufficiente nel nostro Paese: a tutt’oggi sono appena 4300 gli specialisti in geriatria, ne sarebbero necessari almeno il doppio”. Innumerevoli studi ed esperienze cliniche, in Italia e nel mondo, hanno dimostrato che lo specialista in geriatria è colui che operando in team con infermieri, assistenti sociali, terapisti della riabilitazione risulta cruciale e indispensabile per ottenere risultati clinici e assistenziali significativi. “Purtroppo tutto ciò non è ancora tenuto in debita considerazione da chi deve allocare le risorse sanitarie e questo rischia di rendere vane le migliori intenzioni di riforma sanitaria – riprendono Pilotto e Landi - Il fabbisogno stimato di nuovi geriatri rimane largamente insufficiente a coprire le aumentate richieste, in ospedale e sul territorio, per l’assistenza clinica di una popolazione che sta invecchiando. Come Società Scientifiche di Geriatria vogliamo quindi richiamare all’esigenza di programmare la cura del malato fragile, con complessità clinica e spesso anziano, sottolineando il ruolo centrale del geriatra: di conseguenza riteniamo imprescindibile rivalutare il fabbisogno di nuovi specialisti in geriatria per il prossimo triennio, così da garantire una risposta efficace alle aumentate necessità di posti letto ospedalieri dedicati agli anziani e di specialisti territoriali geriatri, come emerso nel periodo di pandemia COVID-19”.

 

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di Rossella Gemma

Per gli under 60 che hanno ricevuto la prima dose di vaccino anti-Covid di AstraZeneca e rifiutano il richiamo con un prodotto diverso, c’è la possibilità di completare il ciclo vaccinale con lo stesso Vaxzevria, previo colloquio medico e dopo la firma di un apposito modulo di consenso informato. È quanto dichiara il ministero della Salute in una circolare firmata dal direttore generale Prevenzione del ministero, Giovanni Rezza.  
"Secondo quanto evidenziato dal Cts - si legge nella circolare - ferma restando l’indicazione prioritaria di seconda dose con vaccino a mRna, ispirata ad un principio di massima cautela rivolto a prevenire l'insorgenza di fenomeni Vitt (trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino, ndr) in soggetti a rischio basso di sviluppare patologia Covid-19 grave, e a un principio di equità che richiede di assicurare a tutti i soggetti pari condizioni nel bilanciamento benefici/rischi, qualora un soggetto di età inferiore ai 60 anni, dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino Vaxzevria, pur a fronte di documentata e accurata informazione fornita dal medico vaccinatore o dagli operatori del centro vaccinale sui rischi di Vitt, rifiuti senza possibilità di convincimento il crossing a vaccino a mRna, allo stesso, dopo acquisizione di adeguato consenso informato, può essere somministrata la seconda dose di Vaxzevria". 
Nella circolare il ministero fornisce anche chiarimenti sulle modalità d'uso del vaccino Janssen. "Il Cts ha raccomandato il vaccino Janssen per soggetti di età superiore ai 60 anni". Trattandosi di un vaccino adenovirale come quello di AstraZeneca, anche per J&J vale lo stesso principio di precauzione volto a evitare il seppur raro rischio di Vitt nella popolazione più giovane. Tuttavia, prosegue il testo, "il Cts ha inoltre previsto la possibilità che si determinino specifiche situazioni in cui siano evidenti le condizioni di vantaggio della singola somministrazione, e che, in assenza di altre opzioni, il vaccino Janssen andrebbe preferenzialmente utilizzato, previo parere del Comitato etico territorialmente competente". In particolare, il vaccino “potrebbe essere somministrato in determinate circostanze, come ad esempio nel caso di campagne vaccinali specifiche per popolazioni non stanziali e/o caratterizzate da elevata mobilità lavorativa e, più in generale, per i cosiddetti gruppi di popolazione 'hard to reach'. Infatti, in tali circostanze, peraltro già indicate dal Cts, considerate le criticità relative alla logistica e alle tempistiche della somministrazione di un ciclo vaccinale a due dosi, il rapporto benefico/rischio della somministrazione del vaccino Janssen in soggetti al di sotto dei 60 anni potrebbe risultare favorevole". 

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di Rossella Gemma

La Commissione tecnico scientifica (CTS) dell’AIFA, nella riunione del 13 giugno scorso, si è espressa sulle modalità di utilizzo della schedula vaccinale mista in soggetti al di sotto dei 60 anni di età che hanno ricevuto una prima dose di vaccino Vaxzevria, anche in considerazione del mutato scenario epidemiologico di ridotta circolazione virale. 

Sulla base di studi clinici pubblicati nelle ultime settimane, la CTS ha ritenuto, a fronte di un rilevante potenziamento della risposta anticorpale e un buon profilo di reattogenicità, di approvare il mix vaccinale (prima dose con Vaxzevria e seconda dose con Comirnaty o, per analogia, con il vaccino Moderna). 

Infine “in considerazione delle evidenze che si sono appena rese disponibili, dell’attuale assenza di specifiche indicazioni nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) dei farmaci in oggetto e della necessità di consentire il regolare svolgimento della campagna vaccinale” l’AIFA ha espresso Parere favorevole “all’inserimento nell’elenco dei farmaci di cui alla legge 648/1996 di Comirnaty e Vaccino COVID-19 Moderna come seconda dose per completare un ciclo vaccinale misto, nei soggetti di età inferiore ai 60 anni che abbiano già effettuato una prima dose di vaccino Vaxzevria”.

La CTS ha ritenuto che la seconda somministrazione con vaccino a mRNA possa avvenire a distanza di 8-12 settimane dalla somministrazione di Vaxzevria.

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di Rossella Gemma

L’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato il quinto Rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini    COVID-19. I dati raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso.

Nel periodo considerato sono pervenute 66.258 segnalazioni su un totale di 32.429.611 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 204 ogni 100.000 dosi), di cui circa il 90% sono riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. Come riportato nei precedenti Rapporti, gli eventi segnalati insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (83% dei casi). Le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione.

La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino Comirnaty (71,8%), finora il più utilizzato nella campagna vaccinale (68,7% delle dosi somministrate) e solo in minor misura al vaccino Vaxzevria (24% delle segnalazioni e 20,8% delle dosi somministrate), al vaccino Moderna (3,9% delle segnalazioni e 9% delle dosi somministrare), e al vaccino COVID-19 Janssen (0,3% delle segnalazioni e 1,5% delle dosi somministrate). Per tutti i vaccini, gli eventi avversi più segnalati sono febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. Gli eventi avversi gravi correlabili alla vaccinazione più spesso segnalati configurano un quadro di sindrome simil-influenzale con sintomatologia intensa, più frequente dopo la seconda dose dei vaccini a mRNA e dopo la prima dose di Vaxzevria. Il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con Vaxzevria è in linea con quanto osservato a livello europeo (1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate, nessun caso dopo seconda dose), prevalentemente in persone con meno di 60 anni.

 

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di Rossella Gemma

Sono stati trattati con successo i primi tre bambini sottoposti in Italia alla terapia con cellule Car-T ottenute a fresco, grazie a una innovativa produzione automatizzata. Lo ha riferito una nota del ministero della Salute che precisa come i tre piccoli pazienti erano affetti da un particolare tipo di leucemia - la leucemia linfoide acuta a precursori B-cellulari (LLA-BCP) - dimostratasi refrattaria a tutte le terapie convenzionali. I tre bambini sono stati trattati con le cellule geneticamente modificate prodotte presso l'Officina Farmaceutica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG) di Roma attraverso un sistema automatizzato, sviluppato nell'ambito del progetto Car-T Italia.

Il progetto è stato promosso dal Parlamento, che ha destinato 10 milioni di euro al Ministero della Salute, al fine di mettere a disposizione questo nuovo approccio terapeutico sul territorio nazionale. Per tutti e tre i bambini sono ora maturati i tempi necessari alla valutazione della risposta al trattamento ed è stata documentata la remissione completa della malattia. "La ricerca sulle terapie avanzate ha un valore strategico, al fine di poter offrire ai cittadini le migliori possibilità di cura. I risultati di questo importante progetto sono un passo avanti significativo in questa direzione e ci confermano come sia fondamentale continuare a investire sulla ricerca", sottolinea il ministro della Salute, Roberto Speranza. "Come coordinatore del Progetto e responsabile del gruppo dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sono particolarmente felice per questo risultato. La decisione del Parlamento italiano, cui tutti noi ricercatori afferenti al Progetto siamo straordinariamente grati, d'investire in un campo così innovativo trova così una concreta realizzazione terapeutica che sarà certamente seguita da altre applicazioni in malati affetti da differenti patologie oncologiche", ha dichiarato Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e presidente del Consiglio superiore di sanità.
Lo sviluppo di linfociti T modificati geneticamente è stata una vera e propria rivoluzione nel campo dell'immunoterapia per la cura della Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA), tuttavia nonostante la loro efficacia nel curare la LLA, le cellule Car-T sono state associate a un profilo di sicurezza non ancora ottimale, dal momento che sono state riportate tossicità gravi in alcuni pazienti a cui sono state somministrate terapie con cellule Car-T. Inoltre, nell'ambito di altre patologie maligne ematologiche (ad esempio la leucemia mieloide acuta, LMA) e dei tumori solidi, l'efficacia dell'approccio è risultata limitata. Per questo motivo, il progetto di ricerca Car-T, promosso dal Ministero della Salute e sviluppato sotto l'egida di Alleanza Contro il Cancro (ACC), si prefigge di migliorare l'efficacia della terapia con cellule Car-T, attraverso la creazione di un network di collaborazione che unisca l'expertise delle diverse Istituzioni partecipanti. Il progetto è articolato su 6 differenti Work Packages (WP), ognuno con obiettivi ben definiti.

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di Rossella Gemma

L'Fda ha approvato un nuovo farmaco contro l'Alzheimer che ha le potenzialità per rallentare il decorso della malattia. L’anticorpo monoclonale, Aducanumab, arriva dopo vent'anni di ricerca. La terapia consiste in una iniezione al mese per via endovenosa che contribuirebbe a rallentare il declino cognitivo dei pazienti che si trovano allo stadio iniziale della malattia. Si tratta del primo trattamento che interessa il decorso e non si limita ad aggredire i sintomi della demenza. "Siamo consapevoli dell'attenzione che circonda questa approvazione - ha affermato Patrizia Cavazzoni, che dirige il Center for Drug Evaluation and Research dell'Fda -. Sappiamo che la terapia ha generato l'attenzione della stampa, dei pazienti e di molti soggetti interessati".
 
Con l'anticorpo monoclonale anti-Alzheimer approvato in Usa "si apre una nuova strada per i pazienti e questo trattamento è più che una speranza: è la prima terapia che potrebbe impedire lo sviluppo della malattia" ha detto all'Adnkronos Salute Gioacchino Tedeschi, presidente della Società italiana di neurologia (Sin).
 
Attualmente, secondo i dati del ministero della Salute, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1 milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. E’ proprio sul tema della demenza che ha preso il via un nuovo progetto di Federfarma, nato dalla collaborazione con la Federazione Alzheimer Italia. Il vademecum “Farmacia Amica della Demenza”, messo a disposizione dei farmacisti, contiene informazioni e dati relativi alla patologia: i numeri, i sintomi, il decorso e le possibili terapie in uso. Sono inoltre indicati i comportamenti corretti per rapportarsi a una persona con demenza quando entra in farmacia così da rendere il proprio presidio accogliente per le persone con demenza.