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di Rossella Gemma
Nuovo aggiornamento nelle linee guida per il trattamento dei malati di Covid: l'Organizzazione mondiale della sanita' (Oms) ha inserito due farmaci che bloccano il recettore dell'interleuchina-6, tocilizumab e sarilumab, due anticorpi monoclonali usati anche per l'artrite reumatoide. I due farmaci sono indicati per i malati in condizioni gravi e vanno presi insieme ai corticosteroidi, come spiega l'Oms sul suo sito. Si tratta dei primi medicinali rivelatisi efficaci contro il Covid, dopo i corticosteroidi raccomandati dall'Oms lo scorso settembre. Questi anticorpi monoclonali agiscono bloccando l'eccessiva reazione immunitaria che spesso si sviluppa nei malati di Covid. La decisione e' arrivata sulla base dell'analisi dei dati di oltre 10.000 pazienti coinvolti in 27 studi clinici, che hanno mostrato una riduzione delle morti del 13% rispetto alle cure standard e del 28% delle probabilita' di essere sottoposti a ventilazione meccanica. Cio significa che si hanno 15 morti in meno ogni 1000 pazienti e 23 pazienti in meno intubati. "Questi farmaci offrono una speranza a pazienti e familiari colpiti dall'impatto devastante delle forme gravi di Covid, anche se rimangono inaccessibili e fuori dalla portata della maggior parte del mondo", sottolinea il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. La distribuzione iniqua dei vaccini, continua, "significa che gli abitanti dei paesi a basso e medio reddito sono piu a rischio di forme gravi di Covid. Il maggiore bisogno di questi farmaci e' proprio nei paesi che attualmente vi hanno meno accesso. Serve un cambio urgente su questo". Per migliorare l'accesso a questi prodotti salva-vita, l'Oms chiede alle aziende di ridurre i prezzi e rendere disponibili le forniture per i paesi a basso e medio reddito, soprattutto quelli dove il Covid e' in aumento, oltre a siglare accordi trasparenti. Ha manifestato anche interesse a inserirli nel suo Programma di Prequalificazione dei Farmaci, con cui allarga la disponibilita' di farmaci forniti dalle organizzazione internazionali per bisogni urgenti di salute, garantendone la qualita e riducendo i prezzi.
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di Rossella Gemma
Più pediatri che geriatri. Le culle si svuotano, gli anziani aumentano: nonostante questo in Italia, uno dei Paesi più vecchi del mondo con circa 13 milioni di over 65 e appena 400.000 nuovi nati all’anno, ci sono più medici dedicati all’assistenza dei più piccoli, 7500, che specialisti in grado di gestire gli anziani, appena 4300. Inoltre, nei prossimi tre anni il fabbisogno di specialisti in Geriatria è addirittura in calo in base al numero di borse di specializzazione previste: da 347 per l’anno in corso a 319 nel 2023. In pratica in tre anni saranno cumulativamente ammessi alla specializzazione di Geriatria 1008 medici va fronte di 2287 a quella in Pediatria. Gli esperti della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) e della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (SIGOT) lanciano l’allarme: senza un adeguato numero di geriatri a gestire la valutazione e la terapia dei tanti over 65 con molteplici malattie croniche, sarà impossibile prendersi carico di una popolazione che ha bisogno di risposte di cura su misura e che è sempre più fragile anche a causa della pandemia, che ha evidenziato le aumentate necessità di risorse da dedicare alla gestione degli anziani. SIGG e SIGOT chiedono perciò che venga rivalutato il fabbisogno di geriatri e anche che vengano rese disponibili le Unità di Geriatria in tutti gli ospedali italiani, eventualmente rimodulando una parte dei 26.000 posti letto nelle Medicine Interne in posti letto di Geriatria.
“Le linee di indirizzo della riforma del SSN incluse nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stabiliscono un ruolo centrale per l’assistenza domiciliare e prevedono una ristrutturazione importante dell’assistenza residenziale, le cui carenze sono apparse drammaticamente evidenti in occasione della pandemia: tutto ciò è apprezzabile, ma perché le cure domiciliari e residenziali abbiano il miglior rapporto costo/efficacia è indispensabile che a gestirle siano i geriatri – spiegano Francesco Landi e Alberto Pilotto, rispettivamente presidenti SIGG e SIGOT – Il geriatra è infatti il medico della complessità per l’anziano, colui che può valutarne la situazione a livello multidimensionale migliorando gli esiti e riducendo al contempo mortalità, ricoveri inappropriati, disabilità fisica e cognitiva. Il numero di professionisti in grado garantire una gestione mirata ed efficace di pazienti particolarmente complessi come gli anziani è tuttavia insufficiente nel nostro Paese: a tutt’oggi sono appena 4300 gli specialisti in geriatria, ne sarebbero necessari almeno il doppio”. Innumerevoli studi ed esperienze cliniche, in Italia e nel mondo, hanno dimostrato che lo specialista in geriatria è colui che operando in team con infermieri, assistenti sociali, terapisti della riabilitazione risulta cruciale e indispensabile per ottenere risultati clinici e assistenziali significativi. “Purtroppo tutto ciò non è ancora tenuto in debita considerazione da chi deve allocare le risorse sanitarie e questo rischia di rendere vane le migliori intenzioni di riforma sanitaria – riprendono Pilotto e Landi - Il fabbisogno stimato di nuovi geriatri rimane largamente insufficiente a coprire le aumentate richieste, in ospedale e sul territorio, per l’assistenza clinica di una popolazione che sta invecchiando. Come Società Scientifiche di Geriatria vogliamo quindi richiamare all’esigenza di programmare la cura del malato fragile, con complessità clinica e spesso anziano, sottolineando il ruolo centrale del geriatra: di conseguenza riteniamo imprescindibile rivalutare il fabbisogno di nuovi specialisti in geriatria per il prossimo triennio, così da garantire una risposta efficace alle aumentate necessità di posti letto ospedalieri dedicati agli anziani e di specialisti territoriali geriatri, come emerso nel periodo di pandemia COVID-19”.
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di Rossella Gemma
Per gli under 60 che hanno ricevuto la prima dose di vaccino anti-Covid di AstraZeneca e rifiutano il richiamo con un prodotto diverso, c’è la possibilità di completare il ciclo vaccinale con lo stesso Vaxzevria, previo colloquio medico e dopo la firma di un apposito modulo di consenso informato. È quanto dichiara il ministero della Salute in una circolare firmata dal direttore generale Prevenzione del ministero, Giovanni Rezza.
"Secondo quanto evidenziato dal Cts - si legge nella circolare - ferma restando l’indicazione prioritaria di seconda dose con vaccino a mRna, ispirata ad un principio di massima cautela rivolto a prevenire l'insorgenza di fenomeni Vitt (trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino, ndr) in soggetti a rischio basso di sviluppare patologia Covid-19 grave, e a un principio di equità che richiede di assicurare a tutti i soggetti pari condizioni nel bilanciamento benefici/rischi, qualora un soggetto di età inferiore ai 60 anni, dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino Vaxzevria, pur a fronte di documentata e accurata informazione fornita dal medico vaccinatore o dagli operatori del centro vaccinale sui rischi di Vitt, rifiuti senza possibilità di convincimento il crossing a vaccino a mRna, allo stesso, dopo acquisizione di adeguato consenso informato, può essere somministrata la seconda dose di Vaxzevria".
Nella circolare il ministero fornisce anche chiarimenti sulle modalità d'uso del vaccino Janssen. "Il Cts ha raccomandato il vaccino Janssen per soggetti di età superiore ai 60 anni". Trattandosi di un vaccino adenovirale come quello di AstraZeneca, anche per J&J vale lo stesso principio di precauzione volto a evitare il seppur raro rischio di Vitt nella popolazione più giovane. Tuttavia, prosegue il testo, "il Cts ha inoltre previsto la possibilità che si determinino specifiche situazioni in cui siano evidenti le condizioni di vantaggio della singola somministrazione, e che, in assenza di altre opzioni, il vaccino Janssen andrebbe preferenzialmente utilizzato, previo parere del Comitato etico territorialmente competente". In particolare, il vaccino “potrebbe essere somministrato in determinate circostanze, come ad esempio nel caso di campagne vaccinali specifiche per popolazioni non stanziali e/o caratterizzate da elevata mobilità lavorativa e, più in generale, per i cosiddetti gruppi di popolazione 'hard to reach'. Infatti, in tali circostanze, peraltro già indicate dal Cts, considerate le criticità relative alla logistica e alle tempistiche della somministrazione di un ciclo vaccinale a due dosi, il rapporto benefico/rischio della somministrazione del vaccino Janssen in soggetti al di sotto dei 60 anni potrebbe risultare favorevole".
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di Rossella Gemma
La Commissione tecnico scientifica (CTS) dell’AIFA, nella riunione del 13 giugno scorso, si è espressa sulle modalità di utilizzo della schedula vaccinale mista in soggetti al di sotto dei 60 anni di età che hanno ricevuto una prima dose di vaccino Vaxzevria, anche in considerazione del mutato scenario epidemiologico di ridotta circolazione virale.
Sulla base di studi clinici pubblicati nelle ultime settimane, la CTS ha ritenuto, a fronte di un rilevante potenziamento della risposta anticorpale e un buon profilo di reattogenicità, di approvare il mix vaccinale (prima dose con Vaxzevria e seconda dose con Comirnaty o, per analogia, con il vaccino Moderna).
Infine “in considerazione delle evidenze che si sono appena rese disponibili, dell’attuale assenza di specifiche indicazioni nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) dei farmaci in oggetto e della necessità di consentire il regolare svolgimento della campagna vaccinale” l’AIFA ha espresso Parere favorevole “all’inserimento nell’elenco dei farmaci di cui alla legge 648/1996 di Comirnaty e Vaccino COVID-19 Moderna come seconda dose per completare un ciclo vaccinale misto, nei soggetti di età inferiore ai 60 anni che abbiano già effettuato una prima dose di vaccino Vaxzevria”.
La CTS ha ritenuto che la seconda somministrazione con vaccino a mRNA possa avvenire a distanza di 8-12 settimane dalla somministrazione di Vaxzevria.
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L’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato il quinto Rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini COVID-19. I dati raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 maggio 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso.
Nel periodo considerato sono pervenute 66.258 segnalazioni su un totale di 32.429.611 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 204 ogni 100.000 dosi), di cui circa il 90% sono riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. Come riportato nei precedenti Rapporti, gli eventi segnalati insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (83% dei casi). Le segnalazioni gravi corrispondono al 10,4% del totale, con un tasso di 21 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino, dalla dose (prima o seconda) e dal possibile ruolo causale della vaccinazione.
La maggior parte delle segnalazioni sono relative al vaccino Comirnaty (71,8%), finora il più utilizzato nella campagna vaccinale (68,7% delle dosi somministrate) e solo in minor misura al vaccino Vaxzevria (24% delle segnalazioni e 20,8% delle dosi somministrate), al vaccino Moderna (3,9% delle segnalazioni e 9% delle dosi somministrare), e al vaccino COVID-19 Janssen (0,3% delle segnalazioni e 1,5% delle dosi somministrate). Per tutti i vaccini, gli eventi avversi più segnalati sono febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea. Gli eventi avversi gravi correlabili alla vaccinazione più spesso segnalati configurano un quadro di sindrome simil-influenzale con sintomatologia intensa, più frequente dopo la seconda dose dei vaccini a mRNA e dopo la prima dose di Vaxzevria. Il tasso di segnalazione delle trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con Vaxzevria è in linea con quanto osservato a livello europeo (1 caso ogni 100.000 prime dosi somministrate, nessun caso dopo seconda dose), prevalentemente in persone con meno di 60 anni.
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di Rossella Gemma
Sono stati trattati con successo i primi tre bambini sottoposti in Italia alla terapia con cellule Car-T ottenute a fresco, grazie a una innovativa produzione automatizzata. Lo ha riferito una nota del ministero della Salute che precisa come i tre piccoli pazienti erano affetti da un particolare tipo di leucemia - la leucemia linfoide acuta a precursori B-cellulari (LLA-BCP) - dimostratasi refrattaria a tutte le terapie convenzionali. I tre bambini sono stati trattati con le cellule geneticamente modificate prodotte presso l'Officina Farmaceutica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG) di Roma attraverso un sistema automatizzato, sviluppato nell'ambito del progetto Car-T Italia.
Il progetto è stato promosso dal Parlamento, che ha destinato 10 milioni di euro al Ministero della Salute, al fine di mettere a disposizione questo nuovo approccio terapeutico sul territorio nazionale. Per tutti e tre i bambini sono ora maturati i tempi necessari alla valutazione della risposta al trattamento ed è stata documentata la remissione completa della malattia. "La ricerca sulle terapie avanzate ha un valore strategico, al fine di poter offrire ai cittadini le migliori possibilità di cura. I risultati di questo importante progetto sono un passo avanti significativo in questa direzione e ci confermano come sia fondamentale continuare a investire sulla ricerca", sottolinea il ministro della Salute, Roberto Speranza. "Come coordinatore del Progetto e responsabile del gruppo dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sono particolarmente felice per questo risultato. La decisione del Parlamento italiano, cui tutti noi ricercatori afferenti al Progetto siamo straordinariamente grati, d'investire in un campo così innovativo trova così una concreta realizzazione terapeutica che sarà certamente seguita da altre applicazioni in malati affetti da differenti patologie oncologiche", ha dichiarato Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e presidente del Consiglio superiore di sanità.
Lo sviluppo di linfociti T modificati geneticamente è stata una vera e propria rivoluzione nel campo dell'immunoterapia per la cura della Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA), tuttavia nonostante la loro efficacia nel curare la LLA, le cellule Car-T sono state associate a un profilo di sicurezza non ancora ottimale, dal momento che sono state riportate tossicità gravi in alcuni pazienti a cui sono state somministrate terapie con cellule Car-T. Inoltre, nell'ambito di altre patologie maligne ematologiche (ad esempio la leucemia mieloide acuta, LMA) e dei tumori solidi, l'efficacia dell'approccio è risultata limitata. Per questo motivo, il progetto di ricerca Car-T, promosso dal Ministero della Salute e sviluppato sotto l'egida di Alleanza Contro il Cancro (ACC), si prefigge di migliorare l'efficacia della terapia con cellule Car-T, attraverso la creazione di un network di collaborazione che unisca l'expertise delle diverse Istituzioni partecipanti. Il progetto è articolato su 6 differenti Work Packages (WP), ognuno con obiettivi ben definiti.
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di Rossella Gemma
L'Fda ha approvato un nuovo farmaco contro l'Alzheimer che ha le potenzialità per rallentare il decorso della malattia. L’anticorpo monoclonale, Aducanumab, arriva dopo vent'anni di ricerca. La terapia consiste in una iniezione al mese per via endovenosa che contribuirebbe a rallentare il declino cognitivo dei pazienti che si trovano allo stadio iniziale della malattia. Si tratta del primo trattamento che interessa il decorso e non si limita ad aggredire i sintomi della demenza. "Siamo consapevoli dell'attenzione che circonda questa approvazione - ha affermato Patrizia Cavazzoni, che dirige il Center for Drug Evaluation and Research dell'Fda -. Sappiamo che la terapia ha generato l'attenzione della stampa, dei pazienti e di molti soggetti interessati".
Con l'anticorpo monoclonale anti-Alzheimer approvato in Usa "si apre una nuova strada per i pazienti e questo trattamento è più che una speranza: è la prima terapia che potrebbe impedire lo sviluppo della malattia" ha detto all'Adnkronos Salute Gioacchino Tedeschi, presidente della Società italiana di neurologia (Sin).
Attualmente, secondo i dati del ministero della Salute, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1 milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. E’ proprio sul tema della demenza che ha preso il via un nuovo progetto di Federfarma, nato dalla collaborazione con la Federazione Alzheimer Italia. Il vademecum “Farmacia Amica della Demenza”, messo a disposizione dei farmacisti, contiene informazioni e dati relativi alla patologia: i numeri, i sintomi, il decorso e le possibili terapie in uso. Sono inoltre indicati i comportamenti corretti per rapportarsi a una persona con demenza quando entra in farmacia così da rendere il proprio presidio accogliente per le persone con demenza.
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di Rossella Gemma
Qual è stata la richiesta dei corsisti della prima annualità? "Il master cerca di strutturare un metodo di riconoscimento e di terapia quale elemento fondamentale di un lavoro fruttuoso con i pazienti. Vengono presentate anche metodiche corporee di rilassamento, di riflessione e integrazione psicocorporea- spiega Melodia- utili per comprendere meglio il meccanismo con cui un trauma determina una dissociazione psichica e come si aiutano i pazienti a re-integrare le parti dissociate". Nell'uso popolare la dissociazione psichica si confonde spesso con la schizofrenia, ma quest'ultima è invece una diagnosi che richiede criteri che spesso non si ritrovano. "La dissociazione indica una parte della psiche che lavora in background, completamente staccata dalle funzioni coscienti".
https://www.ortofonologia.it/
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di Rossella Gemma
L’infertilità è un problema di salute pubblica globale che interessa in media il 15% delle coppie in età riproduttiva, mentre fattori maschili sono responsabili di un 25-30% dei casi. Per tutti una dieta sana è uno dei pilastri (insieme a visite periodiche di controllo) della prevenzione dell’infertilità. Nel piatto di lui non devono mancare così come sottolineato da un’ampia metanalisi apparsa nel 2017 su Human Reproduction Update; cibi ricchi in vitamine (E,C,D e folati, di cui sono ricche le verdure a foglia verde). Bassi livelli di acidi grassi saturi sono inversamente associati con bassa qualità del liquido seminale.
Sulla tavola si consiglia che non manchino mai pesce, molluschi, cereali, vegetali, frutta, e latticini a basso contenuto di grassi mentre si consiglia di limitare carni lavorate, patate, latticini grassi, latte intero, caffè, alcol e bevande zuccherate che hanno mostrato effetti negativi sulla qualità del liquido seminale. E’ ormai noto che l’aderenza ad una dieta sana dia effetti diretti sia sulla qualità degli spermatozoi che sui ratei di gravidanza. “Un alimento che non dovrebbe mai mancare è il pomodoro. In uno studio pubblicato su Asia Journal Clinical Nutrition, sono stati presi in esame un gruppo di uomini con bassa concentrazione spermatica (meno di 20 X10 6 ml) e/o una motilità inferiore al 50%. I volontari sono stati assegnati a 3 gruppi: uno a cui era prescritta una lattina di succo di pomodoro (con 30 mg di licopene), un altro che doveva assumere una capsula di antiossidanti (600 mg di vitamina C, 200 mg di vitamina E e 300 gr di glutatione) e un terzo gruppo di controllo”, avverte il Professor Salvatore Sansalone, specialista in andrologia e urologia Universita’ di Tor Vergata e consulente urologo del ministero della Salute
Dopo 12 settimane sono stati esaminati nuovamente i parametri seminali scoprendo che il gruppo assegnato al succo di pomodoro presentavano meno globuli bianchi nel seme e un aumento significativo della motilità mentre nel gruppo che aveva assunto gli antiossidanti non sono stati osservati risultati miglioramenti apprezzabili Il LICOPENE é un carotenoide che da il tipico colore rosso ai pomodori ma che è presente anche in anguria, ananas e papaya. Una metanalisi su 21 studi ha mostrato che i prodotti a base di pomodoro hanno un ruolo nella prevenzione del carcinoma prostatico (benché limitato ad un consumo in quantità elevate). Ed ha mostrato anche effetti positivi in pazienti con tumore prostatico (HGPIN): la somministrazione di 40 mg due volte al giorno per un anno ha portato ad una riduzione della massa del 66%. Il licopene si è così guadagnato la fama di efficace agente chemoprotettivio ben tollerato e senza tossicità.
Nei soggetti con parametri seminali alterati è possibile prescrivere una vera e propria “terapia a base di supplementi antiossidanti” per sopperire a carenze dietetiche. Integratori a base di beta carotene, folati, zinco e vitamina C possono determinare un miglioramento di parametri seminali. “Carnitina, Coenzima Q10, vitamine del gruppo B ed L-arginina insieme alla vitamina C possono essere prescritti in soggetti con fertilità idiopatica” spiega il Professor Sansalone “questo permette di mantenere i dannosi radicali liberi sotto controllo, ad un livello fisiologico, migliorando la qualità del liquido seminale e l’integrità del DNA spermatico. Va precisato che i radicali liberi, hanno funzione fisiologica essenziale nella produzione degli spermatozoi. Contribuiscono infatti alla loro maturazione, alla “capacitazione” ossia all’insieme delle modifiche delle membrane necessarie a penetrare nell’ovocita maturo, alla “reazione acrosomiale” che avviene nei pressi dell’ovocita e in casi in cui le membrane cellulari espongono antigeni di superficie che già permettono di legarsi alla membrana cellulare dell’uovo”.
Ma se presenti in eccesso possono avere anche un ruolo patologico che danneggia le cellule attraverso meccanismi biologici che vanno dalla perossidazione dei lipidi, un processo tipico in cui gli acidi grassi insaturi vengono privati di un elettrone con una reazione a catena in quanto tendono a integrare la perdita sottraendoli alle molecole vicine, sino ai danni del DNA e all’apoptosi, ossia al ‘suicidio’ cellulare. Per fortuna il nostro organismo è in grado di produrre sostanze antiossidanti ‘endogene’ che agiscono al livello del liquido seminale: per proteggersi dai danni dei radicali liberi accumulati a causa di condizioni di obesità, infiammazioni, esposizione e sostanze inquinanti, fumo di sigarette, ecc, tutte correlate negativamente alla produzione di spermatozoi. Si chiamano ‘superossido dismutasi’ (capaci di agire come ‘spazzini’), la ‘catalasi’ (che fa da scudo all’azione dell’acido nitrico), il ‘glutatione perossidasi’ che il compito di prevenire danni al DNA e la ‘perossidossina’ che gioca un ruolo importante nell’attivazione degli spermatozoi.
La ricerca si è concentrata anche sugli acidi grassi omega 3 in considerazione del fatto che gli stessi spermatozoi contengono una elevata proporzione di PUFA che giocano un ruolo cruciale nel concepimento. “Sarà l’andrologo a decidere quali integratori prescrivere nell’ambito di una terapia di protezione della fertilità”.