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di Rossella Gemma
A sette mesi dalla vaccinazione non si registra una riduzione dell’efficacia dei vaccini Covid-19 a mRna nella popolazione generale, mentre si osserva una lieve diminuzione nella protezione dall’infezione (sintomatica o asintomatica) in alcuni gruppi specifici. Lo afferma il quarto report, a cura del Gruppo di lavoro ISS e ministero della Salute “Sorveglianza vaccini COVID-19” sull’analisi congiunta dei dati della sorveglianza integrata COVID-19 e dell’anagrafe nazionale vaccini. Sono stati esaminati i dati di più di 29 milioni di persone che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino a mRna, monitorate fino al 29 agosto 2021. L’efficacia è stata valutata confrontando l’incidenza di infezioni (sintomatiche e asintomatiche), ricoveri e decessi a diversi intervalli di tempo dopo la seconda dose con quella osservata nei 14 giorni dopo la prima dose, considerato come ‘periodo di controllo’.
Situazione diversa per le persone immunocompromesse, per le quali si osserva una riduzione dell’effetto protettivo verso l’infezione a partire da 28 giorni dopo la seconda dose. La stima, in questo caso, presenta una variabilità elevata dovuta in parte al ridotto numero di soggetti inclusi in questo gruppo, ma anche connessa alla diversità delle patologie presenti nella categoria. Nelle persone con comorbidità si osserva una riduzione della protezione dall’infezione, dal 75% di riduzione del rischio dopo 28 giorni dalla seconda dose al 52% dopo circa sette mesi.
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di Rossella Gemma
Il Servizio Sanitario Nazionale ha speso 70 milioni di euro per curare in ospedale i pazienti non vaccinati e colpiti da Covid 19, nel solo periodo che va dal 13 agosto al 12 settembre 2021. Sono i dati dell’analisi elaborata per il Sole 24 Ore da Altems-Università Cattolica di Roma, che evidenziano come l’87% dei non vaccinati ospedalizzati non sarebbe stato ricoverato se avesse fatto la vaccinazione. Il costo giornaliero di ospedalizzazione è stato stimato pari a 709,72 euro, mentre quello in terapia intensiva è pari a 1.680,59 euro.
"Partendo dai dati forniti dal Bollettino sulla sorveglianza epidemiologica del Covid-19, rilasciato settimanalmente dall’Istituto Superiore di Sanità, abbiamo calcolato i costi del paziente ricoverato in ospedale e il paziente ricoverato in terapia intensiva per mancata vaccinazione. Siamo di fronte a due pandemie diverse che corrono assieme”, ha spiegato Americo Cicchetti, direttore di Altems.
Per quanto riguarda le ospedalizzazioni, esaminando i casi ogni 100mila abitanti, “ogni settimana – aggiunge Cicchetti - 12,58 persone finiscono in Area Medica e 1,44 in terapia intensiva. Gli stessi parametri applicati ai vaccinati scendono a 1,58 in Area medica e 0,11 in terapia intensiva”.
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di Rossella Gemma
Si parte con con la terza dose del vaccino anti-Covid per gli ultra ottantenni, gli ospiti delle rsa e il personale sanitario. L'annuncio arriva dal ministro della Salute Roberto Speranza, proprio nella giornata in cui - come reso noto dal commissario all'emergenza Francesco Figliuolo - in Italia siamo arrivati al 78% della platea over12 vaccinata, quasi 42 milioni di vaccinazioni. "Diamo subito piu' protezione ai piu' fragili e a chi lavora nei presidi sanitari", ha sottolineato Speranza. Mentre sullo sfondo si discute se procedere contestualmente con il vaccino antiinfluenzale. Le categorie alle quali verra' somministrata la cosiddetta dose 'booster', dunque, sono indicate nel dettaglio nella nuova circolare firmata dal direttore della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza. Ferma restando la priorita' del "raggiungimento di un'elevata copertura vaccinale con il completamento dei cicli vaccinali attualmente autorizzati", si legge, sara' possibile procedere con la somministrazione di terze dosi booster a favore di "soggetti di eta' uguale o superiore agli 80 anni; personale e ospiti dei presidi residenziali per anziani" e "in un momento successivo, una dose booster potra' essere altresi' offerta agli esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario che svolgono le loro attivita' nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali, a partire dai soggetti di eta' uguale o superiore ai 60 anni o con patologia concomitante tale da renderli vulnerabili a forme di COVID-19 grave o con elevato livello di esposizione all'infezione".
Il richiamo, inoltre, potra' essere somministrato anche a soggetti con elevata fragilita' motivata da patologie concomitanti/pre-esistenti, previo parere delle agenzie regolatorie. Indipendentemente dal vaccino utilizzato per il ciclo primario, si precisa poi nella circolare, "sara' per ora possibile utilizzare come dose booster uno qualsiasi dei due vaccini a m-RNA autorizzati in Italia (Pfizer e Moderna)" e la terza dose va somministrata dopo almeno 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario con le due dosi. Quanto all'eventuale estensione della terza dose alla popolazione generale, "verra' invece decisa sulla base dell'acquisizione di nuove evidenze scientifiche e dell'andamento epidemiologico". Intanto a far discutere e' anche l'ipotesi di somministrare in contemporanea, in co-vaccinazione, la terza dose e il vaccino antinfluenzale. Su questo fronte il Lazio fa da apripista annunciando il prossimo avvio della somministrazione "contestuale" dei due immunizzanti. Una ipotesi rispetto alla quale i medici manifestano pero' delle perplessita' chiedendo indicazioni precise da parte di ministero e Agenzia italiana del farmaco (Aifa). L'assessore alla Sanita' del Lazio, Alessio D'Amato, ha affermato dunque che la Regione e' pronta a partire con la terza dose contestuale all'antinfluenzale e "si iniziera' con tutti gli over 80 che hanno completato il ciclo vaccinale entro il 31 marzo 2021, per poi proseguire con tutti gli altri". Ma e' proprio la mancanza, al momento, di indicazioni precise che lascia i medici perplessi. "C'e' una scarsa comunicazione da parte delle istituzioni in merito all'organizzazione di questa fase della campagna vaccinale e attendiamo indicazioni dagli organi preposti rispetto alla possibilita' di una somministrazione contemporanea. Forse prima di fare annunci un po' di coordinamento non sarebbe male", sottolinea il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli. Un'indicazione generale su come procedere "e' necessaria - commenta - altrimenti il rischio e' quello solito di una sanita' 'molteplice' in cui ogni Regione fa quello che vuole". Intanto, a livello europeo si continua a discutere di terza dose e l'Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha annunciato di aver avviato l'esame della domanda da parte dell'azienda Moderna per il richiamo con terza dose ai ragazzi dai 12 anni in su. L'Ema si pronuncera' dunque sull'uso di una dose di richiamo di Spikevax (il vaccino anti Covid di Moderna) da somministrare almeno 6 mesi dopo la seconda dose in persone di eta' pari o superiore a 12 anni.
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di Rossella Gemma
Innovare con urgenza le politiche sanitarie, definire strumenti di misurazione degli interventi e disporre di dati e, quindi di sistemi, di rilevazione omogenei sul territorio nazionale, per far fronte al grande numero di persone con demenza. E’ la richiesta che arriva dal tavolo “Tienilo a mente. Come non disperdere le risorse destinate alle persone con demenza e ai loro caregiver”, promosso da Inrete, con il contributo non condizionante di Roche Italia, che in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, ha reso possibile il confronto tra istituzioni, clinici, associazioni di pazienti ed esperti della società civile.
La sola malattia di Alzheimer (AD) colpisce nel nostro Paese circa 600.000 italiani. È stato stimato che il costo medio annuo per paziente, comprensivo dei costi diretti e indiretti, sia familiari sia a carico del sistema sanitario nazionale e della collettività, è pari a 70.587 euro, cifra che, moltiplicata per la quota attuale di malati, si traduce in oltre 42 miliardi di euro. Questi numeri potrebbero però sottostimare la dimensione del problema, come emerge dalla più recente fotografia della malattia nel contesto italiano, elaborata da Edra nella pubblicazione “La gestione del paziente con malattia di Alzheimer: dal sospetto alla diagnosi precoce fino all’assistenza integrata”.
Le demenze rappresentano una delle maggiori sfide per il sistema sanitario e sociale del nostro Paese e richiedono l’implementazione di modelli omogenei e integrati di presa in carico, oltre a una riorganizzazione dei percorsi assistenziali. Al centro della discussione politica c’è lo Schema di Decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, relativo al riparto dei fondi per l’Alzheimer e le demenze. Una bozza pronta per essere discussa in Conferenza delle Regioni che definisce le modalità del riparto dei 15 milioni di euro stanziati con la legge di Bilancio 2021.
Ma come intervenire per arginare una spesa destinata a esplodere in virtù dell’aumento di diagnosi di demenze e di Alzheimer che, nel 2040, si stima toccherà quota 2,5 milioni di pazienti? Di sicuro, una diagnosi precoce assicura la possibilità di una presa in carico tempestiva e quindi un potenziale ritardo della progressione della malattia, con conseguente ottimizzazione delle risorse sanitarie e con un minor impatto sociale.
Ruolo cruciale, però, è anche quello delle Associazioni di pazienti il cui contributo è fondamentale non solo per le persone con demenza ma anche per il caregiver, figura essenziale nel percorso di assistenza che mediamente dedica 4,4 ore al giorno all’assistenza diretta e 10,8 ore alla sorveglianza.
Le sfide da vincere, secondo gli esperti, sono tante: una popolazione che invecchia, lo stigma da superare, la riforma dell’assistenza domiciliare e soprattutto riuscire a garantire la sostenibilità economica, in previsione anche delle nuove terapie che arriveranno. Ma, anche se la strada è ancora lunga, un passo avanti è stato fatto e la direzione da prendere è ormai chiara: lavorare oggi per essere pronti domani ad affrontare quella che si preannuncia come una vera emergenza globale.
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di Rossella Gemma
In Italia l'uso dei farmaci è più alto nelle aree più disagiate, quasi a mostrare un indicatore di patologia o di richiesta sanitaria associato a queste condizioni, in particolare nel Sud Italia. A evidenziarlo è stato il direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa, Nicola Magrini, illustrando il tema affrontato da un nuovo report presentato ieri a Roma, l''Atlante delle disuguaglianze sociali nell'uso dei farmaci per la cura delle principali malattie croniche'. In Italia, sul fronte delle malattie croniche "il consumo dei farmaci è più elevato tra i soggetti residenti nelle aree più svantaggiate, probabilmente a causa del peggior stato di salute (che potrebbe essere associato a uno stile di vita non corretto)", ha analizzato il Dg nella prefazione del rapporto. Succede per esempio per il diabete, o per l'ipertensione. "Nell'interpretazione dei risultati, nonché nella valutazione complessiva dell'uso dei farmaci sul territorio, è imprescindibile tenere conto del carattere universalistico del Servizio sanitario nazionale, la cui istituzione è finalizzata proprio ad assicurare equità di accesso ai servizi sanitari, nonché all'uso dei farmaci, indipendentemente dai fattori socioeconomici", ha osservato il Dg nel testo che introduce il rapporto, ultima fatica di Osmed (Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali). "I risultati disponibili - ha proseguito - vanno proprio in questa direzione: in particolare per i farmaci utilizzati per il diabete, l'ipertensione, le dislipidemie, l'iperuricemia e la gotta, infatti, sono proprio i soggetti residenti nelle aree più deprivate a far registrare i più alti tassi di consumo pro capite". "Non è quindi l'uso del farmaco ciò che discrimina lo stato socioeconomico, quanto piuttosto la condizione di salute associata al proprio status. In altri termini - ha aggiunto Magrini - la posizione socioeconomica non preclude l'accesso alle cure, ma è, al contrario, fortemente correlata con l'uso dei farmaci. Correlazioni di questo tipo invece non emergono analizzando l'aderenza e la persistenza al trattamento".
Magrini ha anche evidenziato che "In Italia la spesa privata per i farmaci va pienamente monitorata perché il sistema sanitario nazionale è universale e copre pienamente tutte le medicine rimborsate", mentre "non copre farmaci per disturbi minori, ma anche farmaci come le benzodiazepine, che non sono rimborsate, e i contraccettivi orali che sono solo molto parzialmente rimborsati. In particolare per la contraccezione, penso che dovrebbe essere una priorità per il Servizio sanitario nazionale italiano essere in grado di garantire una piena copertura".
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di Rossella Gemma
Dati positivi, quelli resi noti dall’Agenzia Italiana del Farmaco nell’ottavo Rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini COVID-19. I numeri raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 agosto 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso.
Nel periodo considerato sono pervenute 91.360 segnalazioni su un totale di 76.509.846 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 119 ogni 100.000 dosi), di cui l’86,1% riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari.
Le segnalazioni gravi corrispondono al 13,8% del totale, con un tasso di 13 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate. La reazione si è verificata nella maggior parte dei casi (80% circa) nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno successivo e solo più raramente oltre le 48 ore successive.
Comirnaty è il vaccino attualmente più utilizzato nella campagna vaccinale italiana (71%), seguito da Vaxzevria (16%), Spikevax (11%) e COVID-19 Vaccino Janssen (2%). In linea con i precedenti Rapporti, la distribuzione delle segnalazioni per tipologia di vaccino ricalca quella delle somministrazioni (Comirnaty 67%, Vaxzevria 24%, Spikevax 8%, COVID-19 vaccino Janssen 1%).
Per tutti i vaccini, gli eventi avversi più segnalati sono febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, reazione locale o dolore in sede di iniezione, brividi e nausea.
In relazione alle vaccinazioni cosiddette eterologhe a persone al di sotto di 60 anni, che avevano ricevuto Vaxzevria come prima dose, sono pervenute 248 segnalazioni, su un totale di 604.865 somministrazioni (la seconda dose ha riguardato nel 76% dei casi Comirnaty e nel 24% Spikevax), con un tasso di segnalazione di 41 ogni 100.000 dosi somministrate.
Nella fascia di età compresa fra 12 e 19 anni, alla data del 26 agosto, sono pervenute 838 segnalazioni di sospetto evento avverso su un totale di 3.798.938 dosi somministrate, con un tasso di segnalazione di 22 eventi avversi ogni 100.000 dosi somministrate. La distribuzione per tipologia degli eventi avversi non è sostanzialmente diversa da quella osservata per tutte le altre classi di età.
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di Rossella Gemma
Nell’anno della pandemia sono crollate di un terzo, rispetto al 2019, le prescrizioni di farmaci e il numero di confezioni prescritte a bambini e adolescenti. Il dato emerge dal Rapporto nazionale 2020 sull'uso dei farmaci in Italia, realizzato dall'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali (OsMed) dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa. Nell'anno nero della pandemia hanno ricevuto almeno una prescrizione farmaceutica oltre 3,4 milioni di bambini e adolescenti assistibili, il 35,7% della popolazione pediatrica generale (con una prevalenza leggermente maggiore nei maschi rispetto alle femmine, 36,7% contro 34,7%), e il 46,4% nella fascia di età prescolare (1-5 anni). Ma quello che si osserva, spiegano gli autori del report, è che il numero di prescrizioni e confezioni prescritte si è "fortemente ridotto rispetto all'anno precedente". Si parla di un -32,7% nelle prescrizioni e -32,9% nel numero di confezioni prescritte. Un dato sul quale potrebbe aver inciso anche un 'effetto pandemia', è la riflessione che viene fatta in relazione ai farmaci più prescritti. E infatti si legge nel rapporto: "Gli antinfettivi per uso sistemico si confermano i farmaci a maggior consumo, seguiti da quelli per l'apparato respiratorio, sebbene per entrambe le categorie sia possibile osservare una riduzione delle prescrizioni rispetto all'anno precedente, verosimilmente per effetto dell'emergenza sanitaria da Covid-19". Queste due categorie fanno rilevare un calo di prescrizioni rispettivamente del 46,4% e 31%. Per quanto riguarda gli antinfettivi per uso sistemico si contano 475,6 prescrizioni per 1.000 bambini, con l'associazione amoxicillina/acido clavulanico che risulta essere il farmaco più prescritto della categoria ma anche questo antibiotico registra valori nettamente inferiori rispetto al 2019 (-47,1%), in analogia a tutti gli altri farmaci della categoria.
Nel 2020 sono state effettuate 12,6 milioni di prescrizioni di farmaci per la popolazione pediatrica, per un totale di circa 13 milioni di confezioni (circa 1,4 confezioni per utilizzatore) e una spesa di 202,7 milioni di euro (21,2 euro pro capite e 59,5 per utilizzatore). Rispetto all'anno precedente si è rilevato ovviamente un consistente decremento della spesa pro capite (-24,9%). A livello regionale si riscontra una marcata variabilità nel ricorso ai farmaci in età pediatrica, con un livello di prevalenza d'uso che varia dal 26% nella Provincia autonoma di Bolzano al 46% in Abruzzo. Tra i primi 30 principi attivi a maggior consumo nella popolazione pediatrica per l'anno 2020 se ne trovano 11 appartenenti alla categoria dei farmaci dell'apparato respiratorio, 8 antibiotici, 4 nella categoria degli ormoni (esclusi quelli sessuali), 3 del sistema nervoso centrale (antiepilettici), 3 appartenenti alla categoria dei farmaci del tratto gastrointestinale e uno appartenente alla categoria degli antiparassitari, insetticidi e repellenti.
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di Rossella Gemma
Circa 99 morti su 100 a causa del Covi-19, a partire dallo scorso febbraio, non avevano terminato il ciclo vaccinale, e fra quelli che invece lo avevano completato si riscontra un'età media più alta e un numero medio di patologie pregresse maggiori rispetto alla media. A specificarlo è il report periodico sui decessi dell'Istituto superiore di sanità. L'analisi è basata su un campione di 70 cartelle cliniche dei 423 decessi Sars-CoV-2 positivi avvenuti fino al 21 luglio 2021 in vaccinati con ciclo vaccinale completo (16,5%). Rispetto alla totalità dei decessi per cui sono state analizzate le cartelle cliniche, nel campione dei deceduti con «ciclo vaccinale completo» l'età media risulta decisamente elevata (88.6 contro 80 anni). Inoltre, il numero medio di patologie osservate in questo gruppo di decessi è di 5,0, molto più elevato rispetto ai decessi della popolazione generale (3,7).
Dopo l'insufficienza respiratoria acuta, le sovrainfezioni sono le complicanze maggiormente diffuse nelle persone decedute con ciclo vaccinale completo. Terapia antibiotica e steroidea sono le terapie più utilizzate su questi pazienti. “I risultati - conclude il report - possono avere due possibili spiegazioni. In primis, i pazienti molto anziani e con numerose patologie possono avere una ridotta risposta immunitaria e pertanto essere suscettibili all'infezione da SARS-CoV-2 e alle sue complicanze pur essendo stati vaccinati. In secondo luogo, questo risultato può essere spiegato dal fatto che é stata data priorità per la vaccinazione alle persone più anziane e vulnerabili e che quindi questa rappresenta la popolazione con maggiore prevalenza di vaccinazione a ciclo completo alla data in cui è stata eseguita questa valutazione”.
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di Rossella Gemma
Spingere ancora piu' in alto la curva delle persone immunizzate in Italia, che "devono proteggere se stesse e le loro famiglie", ma anche continuare a dare "serenita' a questa estate" con il green pass, che "non e' un arbitrio ma una condizione per non chiudere le attivita' produttive. Il premier Mario Draghi lancia le nuove applicazioni del certificato verde - dai ristoranti alle palestre - previste nel decreto presentato in queste ore. E ripete il suo appello sulle vaccinazioni, senza le quali "si deve chiudere tutto, di nuovo". Parole a cui segue anche un duro monito nei confronti di scettici e no vax: "l'appello a non vaccinarsi e' un appello a morire", dice. Restano dei nodi, come la ripresa della scuola in presenza, i trasporti e l'utilizzo del lasciapassare anche per l'accesso ai luoghi di lavoro: "Ci stiamo pensando - spiega -. E' una questione complessa e da discutere con i sindacati". E su quella di far rientrare in presenza i dipendenti della pubblica amministrazione, aggiunge: "la sta affrontando Brunetta, ma fara' parte dell'area del lavoro che non abbiamo ancora toccato". Intanto l'obbligo del green pass per l'accesso a diverse attivita' entra nel decreto, ma la sua introduzione e' posticipata di due settimane proprio per dare il tempo necessario di uniformarsi alle regole: entrera' in vigore il 6 agosto con tamponi a costo calmierato per le famiglie e per chi non puo' vaccinarsi. Il certificato verde - valido gia' solo con una dose o con test negativo entro le 48 ore - sara' necessario per ristoranti al chiuso, spettacoli all'aperto, centri termali, piscine, palestre, fiere, congressi e concorsi. Servira' anche nei bar ma non per consumare al bancone, anche se al chiuso. Non ripartiranno le discoteche, con i gestori ora nuovamente in protesta.
Ma, e' stato annunciato, arriveranno 20 milioni per le attivita' chiuse causa Covid, fondi che andranno in particolare proprio alle discoteche: sul provvedimento - ha garantito Draghi - c'e' accordo pieno in Cdm. Definite anche le soglie massime di ospedalizzazione che determineranno, piu' dell'incidenza, l'assegnazione dei colori alle regioni: sotto il 10% di occupazione dei posti letto in terapia intensiva e sotto il 15% nei reparti ordinari si resta in zona bianca, oltre quella soglia si va in gialla. Sforando invece rispettivamente con il 20 e 30% si passa in arancione e con 30 e il 40% c'e' la zona rossa. E' stata anche confermata la proroga dello stato di emergenza, fino alla fine del 2021. Le prime indicazioni sui provvedimenti sono emerse dopo la cabina di regia riunita dall'Esecutivo. Poi il confronto con le Regioni, alle quali il Governo ha illustrato le linee generali del decreto prima che andasse in Cdm e da cui sono emersi i dubbi di vari presidenti. Alcuni governatori delle piccole regioni hanno espresso il timore che l'aggiornamento dei nuovi parametri possa esporli al rischio di passare in zone di colore piu' restrittive. Tra questi ci sono Tesei dell'Umbria e Lavevaz della Valle D'Aosta il quale, parlando di "inapplicabilita'" degli indicatori, paventa il "rischio di 'chiudere' per soli due o tre pazienti positivi ricoverati nell'unico ospedale regionale". Sui temi legati al green pass i governatori hanno invece chiesto di inviare quantitativi di vaccini adeguati all'eventuale aumento delle prenotazioni per le inoculazioni, spinte probabilmente dall'estensione del certificato verde. Un'inversione di tendenza nella somministrazione delle prime dosi si e' gia' registrata negli ultimi giorni: sono infatti tornate sopra quota 100mila al giorno, con un livello massimo di oltre 120mila primi vaccini inoculati. Nell'arco della prima meta' della settimana si e' superata complessivamente la quota di oltre 400 mila prime dosi.
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di Rossella Gemma
Prevenire il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS) nei bambini nel primo anno di vita deve tornare ad essere una priorità, basti pensare che a livello globale, proprio nei bambini sotto 1 anno di età il VRS rappresenta in assoluto la seconda causa di mortalità dopo la malaria, la prima causa di mortalità tra le infezioni respiratorie e la prima causa assoluta di ospedalizzazione. Mai come in questo periodo di pandemia ci si è resi conto dell’importanza della prevenzione e in particolare della prevenzione di virus respiratori che possono portare complicanze gravi anche a distanza di tempo. Nonostante questa maggiore sensibilità, ci sono ancora delle patologie altamente contagiose e pericolose, per le quali è urgente mettere in atto misure correttive che mirino ad un maggior contenimento e a una migliore gestione. Nel corso della Web Conference organizzata da MA Provider, grazie al contributo non condizionato di Sanofi Pasteur, è stato presentato un Documento, messo a punto da un gruppo multidisciplinare di esperti, che contiene una valutazione del reale impatto del VRS sulla popolazione dei bambini e sul sistema sanitario e indica una serie di strategie per migliorare la prevenzione e la gestione del virus.
Il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS), classificato come pneumovirus, è il patogeno più frequentemente responsabile di infezioni respiratorie nei bambini entro i 2 anni di età e causa una vasta gamma di manifestazioni cliniche, incluse infezioni alle alte e alle basse vie respiratorie, di cui la più diffusa è rappresentata dalla bronchiolite. Quasi tutti i bambini vengono infettati dal VRS almeno una volta entro i 2 anni di età e, di questi, il 50% può infettarsi anche una seconda volta. I principali fattori che determinano il rischio di ospedalizzazione da VRS in età pediatrica sono la nascita durante la stagione di circolazione del virus, in Italia tra novembre ed aprile, e l’età inferiore ai 7 mesi di vita all’inizio della stagione di VRS, in Italia a novembre. È stato stimato che, solo per l’anno 2015, nei bambini di età inferiore a 5 anni si sono verificati nel mondo circa 33,1 milioni di episodi di infezioni delle basse vie respiratorie (LRTI) da VRS, circa 3,2 milioni di ospedalizzazioni e quasi 120 mila morti.
“Il VRS è ancora responsabile della maggior parte delle ospedalizzazioni in pediatria e l’infezione da esso provocata, soprattutto nel bambino al di sotto dei due anni, si connota spesso come una malattia che può richiedere cure semiintensive e intensive. – dichiara il Prof. Alberto Villani, Past President Società Italiana di Pediatria; Direttore Dipartimento Emergenza e Accettazione; Responsabile Unità Operativa Complessa Pediatria Generale Unità di Ricerca Patogenesi e Terapie Innovative in Infettivologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – Non va dimenticato, inoltre, che un’infezione da VRS nei primi due anni di vita non solo può essere pericolosa per la vita stessa del bambino, ma rappresenta anche un evento sfavorevole allo sviluppo sano e armonico dell’apparato respiratorio. L’epigenetica poi ha mostrato che tutto ciò che interferisce con lo sviluppo, soprattutto dell’apparato respiratorio, ha delle conseguenze non solo nel corso dell’infanzia ma anche nell’età adulta avanzata. Da qui l’enorme valore della prevenzione di questo virus in tutti i bambini nei primi 1000 giorni di vita.
”Ad oggi, non esiste alcuno strumento per prevenire il VRS in tutti i bambini nel primo anno di vita, né abbiamo a disposizione una terapia efficace per la malattia da VRS in età pediatrica, mentre l’unico trattamento possibile è per lo più di sollievo sintomatico e di eventuale supporto respiratorio. Un notevole passo avanti è stato compiuto grazie agli anticorpi monoclonali che consentono la prevenzione di gravi affezioni del tratto respiratorio inferiore. Tuttavia, attualmente ci sono delle restrizioni legate al setting di popolazione indicata, alla durata della protezione fornita e ai costi di somministrazione. Ad oggi gli anticorpi monoclonali disponibili, infatti, sono indicati solamente per i nati pretermine (≤35 settimane di gestazione) e con gravi condizioni patologiche, mentre la protezione conferita da una singola dose dura circa un mese, rendendo quindi necessarie somministrazioni mensili nel corso della stagione epidemica. “Gli effetti negativi dell’infezione acuta da VRS sono molto conosciuti nella pratica clinica e rendono sempre più evidente l’importanza della prevenzione. L’approccio ad oggi utilizzato prevede una profilassi destinata ad una piccola percentuale di neonati e bambini, tralasciando però le conseguenze acute e croniche gravi che il VRS può causare in tutti gli altri – afferma il Prof. Fabio Mosca, Presidente Società Italiana di Neonatologia SIN; Direttore U.O. Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico – La possibilità di disporre di nuovi approcci terapeutici che consentano di estendere, con un migliorato rapporto costi\benefici, la profilassi a tutti i neonati in vista della stagione epidemica da VRS potrà costituire un ulteriore significativo miglioramento delle cure neonatali e pediatriche. Avere a disposizione delle nuove soluzioni più durature e potenti dal punto di vista della protezione consentirebbe, oltre che una migliore tutela della popolazione dei bambini, anche una più semplice gestione dei pazienti e un risparmio di risorse per il Sistema Sanitario Nazionale.” Il virus respiratorio sinciziale è la principale causa di malattie respiratorie che causano ospedalizzazione nell’infanzia. Per le famiglie colpite, il ricovero da VRS è associato a notevoli perdite in termini di tempo, finanze e produttività; l’infezione da VRS, infatti, è responsabile di un numero considerevole di visite ambulatoriali e di assistenza primaria con un impatto economico simile a quello previsto per l’ospedalizzazione. Inoltre, oltre ai costi sanitari per la malattia acuta, VRS è anche associato ad un notevole onere economico dovuto alle conseguenze a lungo termine dell’infezione, come ad esempio la necessità di visite di follow-up e possibili successivi ricoveri ospedalieri. "Il lavoro di sintesi contenuto nel Documento parte da un punto estremamente rilevante, ovvero che la prevenzione, come dimostrato ampiamente de recenti studi (WHO, 2020), può migliorare anche la sostenibilità economica. L'attuale gestione delle infezioni da VRS è impattata da copertura parziale delle categorie a rischio, da ospedalizzazioni (sia ricoveri in reparti di degenza sia ricoveri in terapia intensiva) e da alti costi. - afferma il Prof. Francesco Saverio Mennini, Direttore, Centre for Economic Evaluation and HTA (EEHTA), Facoltà di Economia Università di Roma "Tor Vergata" e Presidente SiHTA - Il virus respiratorio sinciziale determina effetti negativi sia in termini economico gestionali per il sistema sanitario sia in termini di impatto economico per i caregivers e il sistema welfare nel suo complesso (costi diretti e costi indiretti). Il Gruppo di lavoro ritiene pertanto fondamentale prevedere l'immunizzazione precoce di tutti i bambini che nascono durante la stagione VRS e di tutti quei bambini che all'inizio della stagione hanno un'età inferiore 7 mesi. Questa strategia porterebbe ad una riduzione delle ospedalizzazioni di bronchiolite da VRS in tutti i bambini nel primo anno di vita e di conseguenza ridurrebbe le risorse sanitarie che oggi invece sono necessarie per la gestione territoriale ed ospedaliera, il tutto accompagnato anche da una significativa riduzione dei costi indiretti."