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di Rossella Gemma

Buone le notizie che arrivano da Oltremanica: il pancreas artificiale diventa finalmente una opzione di cura anche per il diabete di tipo 2” dichiara Paolo Di Bartolo, Presidente di Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi), commentando i risultati dello studio britannico pubblicato su Nature Medicine che descrivono l’innovativo sistema ad ansa chiusa composto da un sensore per la misurazione in continuo del glucosio e una micro-pompa per l’infusione continua di insulina che grazie ad una App è in grado di aggiustare in automatico le quantità di insulina infusa in funzione dei valori del glucosio mantenendoli nei target desiderati e minimizzando il tempo trascorso in ipo e iperglicemia.

I dati condivisi dai colleghi del gruppo di Cambridge fanno riferimento ad una tecnologia che già aveva dimostrato la propria efficacia nel diabete di tipo 1 e nelle persone con diabete di tipo 2 in dialisi. Questo nuovo studio ha valutato il sistema CamAps Hx in una specifica sottopopolazione di persone con diabete tipo 2, per le quali questo dispositivo potrebbe rappresentare, in futuro, una possibile proposta terapeutica”. Lo studio fa riferimento a persone con diabete di tipo 2 con un’età di circa 59 anni, una lunga durata di malattia ed un diabete non in controllo ottimale, già avviati a terapia insulinica intensiva da circa 8 anni. “Una categoria di pazienti” specifica Di Bartolo, “che la comunità diabetologica prevede e auspica possa ridursi sensibilmente in ragione di un sempre maggiore ricorso alle terapie più innovative oggi disponibili che hanno dimostrato efficacia sia nel miglioramento del controllo glicemico, sia nella riduzione del rischio cardio-renale”.

“La soluzione messa a punto nel Regno Unito potrebbe rappresentare un valido alleato per lo specialista in alcune situazioni cliniche, oltre ai pazienti arruolati nello studio immaginiamo ad esempio all’esordio in pazienti molto scompensati, ma potrebbe rappresentare anche uno strumento per il superamento dell’inerzia terapeutica nella titolazione della terapia insulinica e la riduzione dei rischi di ipoglicemia che sono elevati in corso di terapia insulinica e spesso rappresentano una barriera alla piena aderenza del paziente alla terapia prescritta. Restano da verificare – conclude Di Bartolo – la sostenibilità economica di tali soluzioni, in Italia sono oltre 600.000 i pazienti in terapia insulinica, e l’attitudine nelle diverse fasce di età delle persone con paziente con diabete di tipo 2 all’impiego di tali tecnologie, in Italia solo il 11 % di tale popolazione ha una età inferiore ai 55 anni”.

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di Rossella Gemma

In Italia, ogni anno, per malattie cardiovascolari muoiono più di 224.000 persone: di queste, circa 47.000 sono imputabili al mancato controllo del colesterolo. Il colesterolo, infatti, rappresenta uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare, causando per il servizio sanitario nazionale un impatto clinico, organizzativo ed economico enorme. La spesa sanitaria diretta e indiretta è quantificabile in circa 16 miliardi euro l’anno. Nonostante questo scenario, su oltre 1 milione di pazienti a più alto rischio l’80% non raggiunge il target indicato dalle più recenti linee guida internazionali. In questa area fortunatamente le terapie a disposizione, tutte estremamente efficaci, hanno portato evidenze scientifiche robuste e consolidate negli anni sul loro valore preventivo e curativo sia in prevenzione primaria sia in prevenzione secondaria, ma oggi è necessario intervenire ulteriormente perché ci sono bisogni insoddisfatti.

Su questo tema e sulle possibilità di potenziare e migliorare il percorso di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari si sono interrogati gli esperti all’evento “PNRR, IPERCOLESTEROLEMIA, RISCHIO CARDIOVASCOLARE TRA BISOGNI IRRISOLTI, INNOVAZIONE E NUOVE NECESSITÀ ORGANIZZATIVE, organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Daiichi-Sankyo.

“Il tema dell’eccesso di colesterolo e delle relative azioni da mettere in campo per ridurlo è proprio il classico tema che costituisce una sfida importante in un settore di programmazione che possa dare dei risultati a lungo termine - ha spiegato Carlo Picco, Direttore Generale ASL Città di Torino -. In una grande ASL come la nostra, dove attorno ai presidi ospedalieri di primo e secondo livello c'è un territorio piuttosto vasto in cui le malattie croniche vengono affrontate con i Pdta anche in maniera multidisciplinare, un occhio alla prevenzione è assolutamente fondamentale. Sappiamo che l'equilibrio tra la spesa farmaceutica e il beneficio di avere una minore possibilità di sviluppare complicanze in ambito cardiovascolare, in particolare ma non solo, ci mette sempre in una condizione di difficile contesto perché vorremmo vedere i risultati subito. Tuttavia stiamo lavorando sugli stili di vita e ad un progetto di attività fisica prescritta dai sanitari, a livello di Azienda Zero, che possa essere gestita dagli enti del territorio, pubblici e privati, in un contesto di prezzo calmierato che potrebbe dare a molti l'occasione di utilizzare le varie strutture sul territorio per lavorare su stili di vita sani. Inoltre stiamo portando avanti gli studi di sostenibilità e i piani di fattibilità della spesa farmaceutica, abbiamo già presentato alcune proposte al settore regionale. Insomma, siamo impegnati in questo contesto che deve avere un occhio di riguardo alla macro economia regionale e un occhio alla clinica e ai benefici clinici. Abbiamo i professionisti per tutte e due queste visioni e quindi le metteremo insieme per cercare di fare bene”.

“L'ipercolesterolemia è uno dei fattori di rischio cardiovascolari più importanti, ma tra i più correggibili con specifiche terapie, anche se non sempre si assiste ad una buona aderenza terapeutica. Ecco perché la medicina di iniziativa con la prevenzione primaria e secondaria è fondamentale per strutturare una risposta sanitaria di medicina personalizzata e di precisione anche in questo settore – ha spiegato Alessandro Stecco Presidente IV Commissione regionale Sanità e Assistenza sociale, Regione Piemonte -. Si deve puntare sempre di più all'integrazione ospedale-territorio, e il DM77 con il PNRR che vede l’organizzazione delle Case di Comunità e delle COT, sono opportunità per intraprendere una svolta anche in questo settore, vedendo al centro la collaborazione tra medici di medicina generale e specialisti ambulatoriali”.

Secondo Alessandro Stecco “è necessario basarsi anche sui cardini fondamentali rappresentati da prossimità, innovazione, digitalizzazione, ricerca e competenze professionali, che in Regione Piemonte, su nostra proposta legislativa approvata, abbiamo voluto inserire tra le funzioni di Azienda Zero, una super azienda sanitaria che si occuperà del coordinamento di funzioni strategiche per la sanità regionale come queste”.

I farmacisti nell’erogazione del farmaco, in ospedale o sul territorio, possono essere un anello importante per affrontare il problema della scarsa aderenza alla terapia e la telemedicina può venire in aiuto. “L’ipercolesterolemia soprattutto in pazienti ad alto rischio cardiovascolare, in questo momento rappresenta una patologia sicuramente paradigmatica proprio per il tema della terapia che è sempre di più personalizzata. I nuovi farmaci vengono erogati dalle farmacie ospedaliere in distribuzione diretta e questo ci coinvolge, come farmacisti ospedalieri, sempre di più. Oggi quindi stiamo lavorando per cercare di rendere sempre più fluido il percorso di presa in carico dei pazienti dal punto di vista della terapia proprio perché dobbiamo cercare il più possibile di garantire la corretta aderenza del paziente a questi trattamenti che, sappiamo, possono portare dei grossi benefici di efficacia, di riduzione importantissima di rischio cardiovascolare e di esiti infausti, ma devono essere ben assunti dai pazienti” ha spiegato Paola Crosasso, Direttore SC Farmacie Ospedaliere, ASL Città di Torino. “Credo che per controllare l’aderenza del paziente alle terapie la telemedicina abbia un ruolo importante dal momento che queste terapie sono di prossimità”.

“ll tema di oggi è sicuramente caldo perché parliamo di sostenibilità e credo che tra i vari determinanti della sostenibilità forse uno di quelli su cui bisognerà fare molti ragionamenti in futuro è proprio la parte dei farmaci perché è quella più complessa da controllare in quanto le procedure che portano poi all'utilizzo del farmaco sono un po' meno complesse rispetto ad altri setting – ha spiegato Franco Ripa, Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio-sanitaria, Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte -. Quindi dobbiamo stringere un'alleanza tra tutti, tra chi si occupa più di aspetti manageriali e clinici per cercare di trovare un modello che deve essere assolutamente legato all'innovazione perché ci permette di curare meglio e di aumentare la qualità della vita”.

 

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di Rossella Gemma

Quest’inverno, dopo due anni di scarsa circolazione virale a causa delle misure di prevenzione legate alla pandemia che ha portato un minor allenamento delle difese immunitarie da parte di bambini e ragazzi, ci si aspettava una maggiore facilità ad ammalarsi. E la presenza, oltre al virus influenzale, di altri virus parainfluenzali, del virus respiratorio sinciziale, anch’esso quest’anno comparso in anticipo, e del Covid 19 comporta come conseguenza un sovraccarico dei Pronto Soccorsi. Dai pediatri SIP, Società Italiana di Pediatria, arriva un appello rivolto ai genitori: vaccinare i bimbi contro l’influenza, un’arma efficace e sicura per proteggere i più piccoli nei confronti dei virus influenzali per i quali si prevede la maggiore circolazione. “Se non lo si è fatto ancora-spiega la Presidente della Società italiana di Pediatria, Annamaria Staiano- non si perda tempo: questo è il momento giusto per vaccinare il proprio bimbo, anche se senza patologie croniche o fragilità. Ricordiamo che la vaccinazione è particolarmente raccomandata per tutti i bambini di età compresa tra 6 mesi e 6 anni, e per tutti i soggetti di ogni età con patologie croniche che aumentano il rischio di complicanze in corso di influenza. È importante sottolineare che proteggendo i più piccoli si proteggono anche i fragili di tutte le età e gli anziani in famiglia: in vista delle Feste questo è un altro fattore da non trascurare”.

Oltre alla vaccinazione la SIP ricorda alcune semplici regole che possono aiutare a prevenire l’influenza: evitare luoghi affollati, lavare frequentemente le mani, evitare il contatto con persone ammalate, in caso di tosse o starnuti, coprire naso e bocca con l’incavo del gomito, ventilare gli ambienti di lavoro e casalinghi aprendo le finestre. Nei luoghi affollati le mascherine, che abbiamo imparato a usare con il Covid, restano un presidio di prevenzione anche per altri virus, tra cui l’influenza.

 

Le 6 cose da sapere sull’influenza

  1. Come si manifesta l’influenza?

L’influenza si manifesta solitamente con febbre, brividi, cefalea, dolori muscolari, inappetenza e sintomi respiratori come tosse, mal di gola, congestione nasale.  Nei lattanti si osservano invece vomito e diarrea. È importante, però, consultare il proprio Pediatra di fiducia in presenza di sintomi per escludere altre malattie che possono esordire con sintomi simili.

  1. Quanti giorni dura l’influenza?

Il periodo d’incubazione del virus è di solito di 1-5 giorni. La durata della malattia è variabile da bambino a bambino, ma generalmente è di 5-10 giorni con risoluzione spontanea nella maggior parte dei casi.

  1. Quali sono le possibili complicanze?

L’influenza può causare serie complicanze come polmonite e miocardite, più frequenti nei soggetti con particolari fattori di rischio (quali malattie croniche cardiache, polmonari, neurologiche, renali, epatiche, immunodepressione). E’ opportuna una rapida valutazione se il bambino presenta comorbilità, se molto piccolo, se sta molto male, se rifiuta di mangiare e bere.

  1. Il bambino coninfluenza deve rimanere a casa? 

Il bambino con l’influenza deve rimanere a casa finché non è totalmente guarito, sia per ottenere una ripresa ottimale ed evitare ricadute ma anche per non contagiare i compagni di classe. Non basta l’assenza di febbre per definire il bambino guarito: occorre valutare se vi è ancora malessere generale o tosse insistente. In sostanza, non bisogna avere fretta e occorre consultare sempre il Pediatra in caso di dubbi.

  1. Per curare l’influenza è necessaria la terapia antibiotica?

Tenere il proprio bambino a casa, idratarlo e confortarlo sono le tre regole base che favoriscono la guarigione. L’antibiotico non serve per curare l’influenza ma per trattare eventuali sovrainfezioni batteriche. Va quindi somministrato solo in alcuni casi, su indicazione del Pediatra. Mentre per alleviare i sintomi del bambino, può essere utile la somministrazione di paracetamolo o ibuprofene in caso di febbre e/o cefalea, lavaggi nasali in caso di raffreddore.

  1. Vaccino iniettivo o spray: che differenza c’è? 

Il vaccino tradizionale è un quadrivalente che contiene virus inattivati (cioè uccisi e frammentati), somministrato per via intramuscolare. Il vaccino con spray intranasale è un vaccino sempre quadrivalente, ma vivo attenuato. Contiene microrganismi vivi ma attenuati e resi innocui. Entrambi i vaccini sono efficaci e sicuriL’indicazione su quale prodotto usare, se sotto forma di spray o di puntura, oltre che in base all’età (il vaccino spray è indicato nella fascia 2-6 anni) e alla disponibilità delle dosi, dipende dalla decisione del medico. 

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di Rossella Gemma

Positivi ma asintomatici al coronavirus, nuove regole nella circolare del ministero della Salute che aggiorna le indicazioni sulla gestione dei casi Covid-19 e dei contatti stretti di caso Covid-19. ''Le persone risultate positive ad un test diagnostico molecolare o antigenico per SARS-CoV-2 - si sottolinea in una nota - sono sottoposte alla misura dell’isolamento, con le modalità di seguito riportate: per i casi che sono sempre stati asintomatici e per coloro che non presentano comunque sintomi da almeno 2 giorni, l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni dal primo test positivo o dalla comparsa dei sintomi, a prescindere dall’effettuazione del test antigenico o molecolare; Per i casi che sono sempre stati asintomatici l’isolamento potrà terminare anche prima dei 5 giorni qualora un test antigenico o molecolare effettuato presso struttura sanitaria/farmacia risulti negativo. Per i casi in soggetti immunodepressi, l’isolamento potrà terminare dopo un periodo minimo di 5 giorni, ma sempre necessariamente a seguito di un test antigenico o molecolare con risultato negativo''.

''Per gli operatori sanitari, se asintomatici da almeno 2 giorni, l’isolamento potrà terminare non appena un test antigenico o molecolare risulti negativo. I cittadini che abbiano fatto ingresso in Italia dalla Repubblica Popolare Cinese nei 7 giorni precedenti il primo test positivo, potranno terminare l’isolamento dopo un periodo minimo di 5 giorni dal primo test positivo, se asintomatici da almeno 2 giorni e negativi a un test antigenico o molecolare. E’ obbligatorio, a termine dell’isolamento, l’uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 fino al 10mo giorno dall’inizio della sintomatologia o dal primo test positivo (nel caso degli asintomatici), ed è comunque raccomandato di evitare persone ad alto rischio e/o ambienti affollati. Queste precauzioni possono essere interrotte in caso di negatività a un test antigenico o molecolare''.

''A coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al SARS-CoV-2 è applicato il regime dell’autosorveglianza, durante il quale è obbligatorio di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2, al chiuso o in presenza di assembramenti, fino al quinto giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto. Se durante il periodo di autosorveglianza si manifestano sintomi suggestivi di possibile infezione da Sars-Cov-2, è raccomandata l’esecuzione immediata di un test antigenico o molecolare per la rilevazione di SARS-CoV-2. Gli operatori sanitari devono eseguire un test antigenico o molecolare su base giornaliera fino al quinto giorno dall’ultimo contatto con un caso confermato''.

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di Rossella Gemma

Janssen, azienda farmaceutica del gruppo Johnson & Johnson, ha presentato al XIII congresso nazionale dell’IG-IBD, Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease nuovi dati di Real World Evidence sull’utilizzo di ustekinumab nei pazienti con Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa, che colpiscono circa 250.000 persone in Italia.

Secondo i dati di Real World Evidence provenienti dall’esperienza spagnola (Registro ENEIDA) in Colite Ulcerosa, si evince un tasso di risposta clinica del 53% e un tasso di remissione clinica del 35% alla settimana 16. Sempre dalla stessa esperienza si riscontra che il 59% dei pazienti è ancora in trattamento con ustekinumab alla settimana 72.

In base ai dati di Real World Evidence provenienti dai registri Francesi (GETAID) e dalle esperienze italiane si conferma nei pazienti con Malattia di Crohn trattatati con ustekinumab l’efficacia nei pazienti bio-naive e bio-experienced, il profilo di sicurezza, una immunogenicità molto bassa, l’efficacia nelle manifestazioni extra-intestinali e la durable remission. Quest’ultimo è un aspetto cruciale per una buona qualità della vita a lungo termine.

“Questi dati confermano quanto già emerso dagli studi registrativi UNITI per la Malattia di Crohn e UNIFI per la Colite Ulcerosa, ovvero l’ottimo profilo di efficacia nel breve e nel lungo termine e la sicurezza nell’utilizzo di ustekinumab nei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali”, commenta Edoardo Savarino, Professore associato di Gastroenterologia, Dipartimento di chirurgia, oncologia e gastroenterologia presso l'Università di Padova - Azienda Ospedaliera di Padova.

Ustekinumab è indicato per il trattamento di pazienti adulti affetti da Malattia di Crohn attiva di grado da moderato a grave, che hanno avuto una risposta inadeguata, hanno perso la risposta o sono risultati intolleranti alla terapia convenzionale o ad un antagonista del TNFα o che hanno controindicazioni mediche per tali terapie e per il trattamento di pazienti adulti con Colite Ulcerosa attiva di grado da moderato a grave che hanno avuto una risposta inadeguata, hanno perso la risposta o sono risultati intolleranti alla terapia convenzionale o ad una terapia biologica oppure che presentano controindicazioni mediche a tali terapie.

Ustekinumab è il capostipite della nuova classe di anticorpi monoclonali attivi contemporaneamente su due interleuchine – IL-12 e IL-23 -, importanti nel processo infiammatorio responsabile delle MICI.

La gestione delle MICI è complessa; le aspettative e le prospettive dei pazienti sono a volte non completamente soddisfatte”, spiega Maurizio Vecchi, Direttore UO Gastroenterologia ed Endoscopia, Fondazione IRCCS Ca'Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano. “L’impatto della malattia sulla qualità della vita dei pazienti è notevole, sia dal punto di vista fisico, che psicologico, sociale, familiare, emozionale e lavorativo. Per questo servono terapie efficaci rapidamente, con un buon profilo di sicurezza e che possano dare una remissione duratura dei sintomi più invalidanti come l’urgenza evacuativa, il sanguinamento e la diarrea”.

In tutto il mondo ci sono milioni di persone che convivono con Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa. Molto spesso queste persone, oltre a dover convivere con sintomi debilitanti tipici di queste malattie, devono fare i conti con lo stigma, l’isolamento e l’impossibilità di vivere con serenità la quotidianità. Proprio per questo c’è bisogno di opzioni terapeutiche che forniscano una remissione di lunga durata”, ha concluso Elisabetta Grillo, Therapeutic Area Medical Manager Immunology di Janssen Italia. “Come Janssen siamo presenti da molto tempo nel campo delle MICI, ridefinendo il paradigma di trattamento di queste patologie. Lavoriamo ogni giorno affinché anche le MICI diventino un ricordo del passato”.

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di Rossella Gemma

Le patologie oncoematologiche hanno visto una grande evoluzione in termini di ricerca e di innovazione prodotta. Un esempio è quello del mieloma multiplo: neoplasia ematologica caratterizzata dalla proliferazione di cellule maligne nel midollo osseo, che rappresenta l’1,3% di tutti i tumori nella donna e l’1,2% nell’uomo (dati AIRTUM), con incidenza di 5.759 nuovi casi all’anno (report AIOM 2020). L'età è il principale fattore di rischio: oltre il 60% delle diagnosi di mieloma riguardano persone di età superiore ai 65 anni e solo l’1% riguardano persone al di sotto dei 40 anni.

Le cause del mieloma multiplo non sono ancora del tutto note, anche se recenti studi hanno evidenziato la presenza di anomalie nella struttura dei cromosomi e in alcuni specifici geni nei pazienti affetti dalla patologia. Dopo la diagnosi è indispensabile definire lo stadio del mieloma, in base al quale si ottengono anche indicazioni sulla prognosi della malattia e sulle scelte terapeutiche. L’innovazione in questi ultimi anni ha prodotto una notevole quantità di opzioni terapeutiche per questi pazienti e ha segnato per molti di loro una maggiore sopravvivenza libera da progressione con un aumento della qualità di vita attesa. Ma l’organizzazione è pronta ad accogliere questo cambio di scenario continuo verso la cronicizzazione di malattia?

Per risponde a questa e ad altre domande ancora, Motore Sanità ha promosso l’evento: “INNOVAZIONE NEI PERCORSI DI CURA IN EMATOLOGIA. L’ESEMPIO DEL MIELOMA MULTIPLO - COME EFFICIENTARE LA FILIERA E VALORIZZARE IL TERRITORIO? FOCUS TRENTINO-ALTO ADIGE”, con il contributo incondizionato di Janssen pharmaceutical companies of Johnson&Johnson e IT-MeD.

Così Atto Billio, Direttore Ematologia e Centro di Trapianto Midollo Osseo ASAA Bolzano: “La qualità della vita del paziente con mieloma multiplo è inficiata da diversi fattori, tra i quali sono preminenti il dolore osseo e la “fatigue”. Il trapianto autologo di midollo è stata la prima grande innovazione nello scenario terapeutico del mieloma multiplo. Le nuove terapie innovative a base di farmaci di cui disponiamo oggi hanno consentito di migliorare la curva di sopravvivenza rispetto agli anni antecedenti al 2000. Alla fine del 2023 arriveranno le CAR-T: grande tecnologia di frontiera della terapia cellulare, immunologica e genica, che permette di riconoscere e centrare le cellule tumorali. La gestione della terapia con CAR-T necessita di un team multidisciplinare (ematologo, trasfusionista, intensivista, neurologo, specialista delle malattie infettive, farmacista) per far fronte ai bisogni assistenziali e alle eventuali complicanze post infusionali delle CAR-T. L’ematologia di Bolzano è già qualificata per l’uso delle CAR-T ed è in attesa del rinnovo dell’accreditamento del Centro Trapianti da parte del Centro Nazionale Trapianti per avviare la fase operativa sul paziente”.

“Il tema del mieloma multiplo mi tocca da vicino”, ha chiosato Gianna Zamaro, Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità Regione Friuli Venezia Giulia: “Per il Friuli Venezia Giulia si contano 120 nuovi casi all’anno. La terapia è stata rivoluzionante: abbiamo un aumento dell’aspettativa di vita notevole. La spesa è impattante e conta 1milione e 200mila euro nel servizio di ematologia. È un problema da affrontare. A fronteggiare questo impatto abbiamo un progetto pilota importante e stiamo ripercorrendo una fase di riorganizzazione su quella che è l’ematologia e l’oncoematologia di prossimità”.

Antonio Ferro, Direttore Generale APSS Trento ha sottolineato invece quanto: “Abbiamo preparato una riforma territoriale innovativa reinserendo i Distretti, dove il personale è gestito da 6 Dipartimenti, e superando l’ottica dei silos. In questo ambito si colloca lo sviluppo della rete oncologica. Il mieloma multiplo è una patologia che deve avere tutta la nostra attenzione e siamo molto coinvolti nella sua gestione. Il costo dei farmaci incide sul nostro bilancio in maniera importante e, per fare fronte a questo, la Regione Trentino Alto Adige ha fatto rete con Bolzano anche per il protocollo diagnostico e terapeutico del mieloma multiplo”.  

 

 

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di Rossella Gemma

Rara, ma estremamente visibile; non contagiosa, eppure ghettizzante. La vitiligine è una malattia autoimmune che colpisce la pelle, provocando l'insorgere di macchie più chiare rispetto al resto dell'incarnato. Per quanto l'incidenza sia bassa- appena l'1,6% della popolazione europea, lo 0,5-2% di quella globale- la visibilità della patologia rende difficile la vita di chi ne è affetto, portando anche a episodi depressivi gravi o moderati. È questo lo scenario emerso dal convegno "Sveliamo il vero volto della vitiligine" tenutosi a Milano. Patrocinato da Incyte Italia, l'evento non ha illustrato solo una malattia di cui si parla poco, ma anche nuovi percorsi terapeutici che puntano a migliorare la qualità della vita dei pazienti, costretti ad affrontare ingenti costi per contrastare la patologia.

Le cifre sono importanti, come evidenziato da uno studio diretto dal dottor Francesco Saverio Mennini dell'università di Roma Tor Vergata. "Il costo medio per pazienti è pari a 1.653 euro e il ricovero ospedaliero rappresenta il 50% della spesa" - spiega Mennini- "ma a incidere è anche la presenza di altre patologie. Se in loro assenza l'onere medio si assesta sui 1.389 euro, in caso di comorbidità si arriva fino a 5.058 Euro".

È quindi fondamentale ridurre la compresenza di patologie differenti. Il professor Mauro Picardo, coordinatore della task force europea dedicata al contrasto di questa malattia, specifica quelle più ricorrenti in associazione alla vitiligine. "Può presentarsi insieme al diabete autoimmune o all'artrite reumatoide. Lo sviluppo della patologia dipende in parte da una predisposizione genetica: il 25-30% dei pazienti ha una storia familiare di vitiligine".

La malattia può manifestarsi in qualsiasi momento, anche se l'incidenza più alta si registra nella fascia tra i 20 e i 40 anni. A causare la vitiligine è un processo in cui il sistema immunitario attacca i melanociti, cellule della pelle che secernono la melanina, sostanza che dona alla cute il suo colorito. La morte cellulare fa sì che il paziente manifesti in varie zone del corpo macchie biancastre che spesso provocano forti disagi a chi ne è affetto. Tre persone su 5 lamentano problemi di autostima, mentre addirittura 9 su 10 lottano contro lo stigma della malattia.

"L'aspetto psicologico non deve essere sottovalutato, perché incide molto sulla qualità di vita", afferma Ugo Viora, presidente dell'Associazione nazionale Amici per la pelle, che ha il compito di indirizzare i pazienti verso i dermatologi sul territorio per evitare l'auto cura. Per quanto negli ultimi anni ci sia stato uno sdoganamento della vitiligine, con casi di body positivity come quello della top model canadese di origini giamaicane Winnie Harlow, permane una certa diffidenza soprattutto se il paziente lavora a contatto con il pubblico. "Ciò che pesa di più sulla psiche è l'assenza di trattamenti specifici che fino a oggi migliorassero le condizioni di chi ne soffre. Per fortuna la ricerca sta cambiando lo scenario", aggiunge Viora.

Quali sono i nuovi trattamenti? "Innanzitutto c'è la fototerapia, che riattiva i melanociti, ma non è sempre efficace", spiega Picardo. "Negli ultimi decenni, però, la ricerca ha prodotto risultati interessanti: negli Stati Uniti è già in commercio una crema che inibisce le Janus chinasi, per esempio". I fattori che determinano la risposta alla terapia sono molti e comprendono la localizzazione delle lesioni, l'età del paziente e la durata della patologia. "Circa il 40-50% di chi intraprende la fototerapia può sperimentare nuova depigmentazione anche in aree trattate con successo", puntualizza Picardo, "ma i dati su chi è in cura con l'inibitore delle Janus chinasi da due anni ci mostrano come la condizione clinica migliori con il passare del tempo". Non una cura definitiva, ma una nuova speranza.

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di Rossella Gemma

Eli Lilly and Company (NYSE: LLY) ha annunciato nel corso del San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS), e contemporaneamente pubblicati su The Lancet Oncology, i risultati aggiornati dello studio di Fase 3 monarchE su abemaciclib in adiuvante in combinazione con la terapia endocrina standard (ET) per il trattamento del carcinoma mammario in fase precoce ad alto rischio (EBC) positivo al recettore ormonale (HR+), negativo al recettore 2 del fattore di crescita epidermico umano (HER2-) e con linfonodi positivi. 
Secondo i dati - che derivano da un'analisi che riflette un periodo di osservazione mediano di 3,5 anni nel quale tutte le pazienti hanno completato o interrotto il periodo di trattamento previsto di due anni con abemaciclib - il rischio di sviluppare una malattia invasiva è risultato ridotto del 33,6%. Il tasso di sopravvivenza libera da malattia invasiva (IDFS) a quattro anni è stato dell'85,8% per i pazienti trattati con abemaciclib più ET rispetto al 79,4% per i pazienti trattati con la sola ET, con una differenza assoluta del 6,4% (rispetto al 2,8% a due anni). 
L’aggiunta di Abemaciclib in adiuvante ha anche ridotto il rischio di sviluppare una malattia metastatica del 34,1%. Il tasso di sopravvivenza libera da malattia a distanza (DRFS) a quattro anni è stato pari al 88,4% per i pazienti trattati con abemaciclib più ET rispetto all'82,5% dei pazienti trattati con sola ET, con una differenza assoluta del 5,9% (rispetto al 2,5% a due anni). 
Questi benefici sono stati descritti in tutti i sottogruppi, indipendentemente dalla percentuale di espressione del marcatore di proliferazione cellulare Ki-67. Sebbene i dati sulla sopravvivenza globale (OS) non siano ancora maturi, nel braccio abemaciclib con ET sono stati osservati meno decessi rispetto al braccio di monoterapia con ET. I risultati complessivi di sicurezza sono coerenti con il profilo consolidato di abemaciclib.

“Questi dati vanno a confermare il profilo di efficacia e di sicurezza della molecola. Il continuo rafforzamento del beneficio di abemaciclib in fase adiuvante a quattro anni sottolinea ulteriormente l'importanza potenziale di questi dati per le donne e gli uomini affetti da carcinoma mammario precoce HR+, HER2-, linfonodo-positivo e ad alto rischio”, ha dichiarato Valentina Guarneri, professoressa ordinaria di Oncologia Medica, Direttore Unità Operativa Complessa di Oncologia 2, Istituto Oncologico Veneto IRCCS.

“I risultati dello studio clinico monarchE, confermati da questa nuova analisi presentata al più importante congresso mondiale sul tumore del seno, sono di estrema rilevanza clinica sia per l’entità del beneficio indotto da abemaciclib, sia perché questo beneficio riguarda le pazienti con tumore che, pur nelle fasi iniziali, risulta a più alto rischio di ricaduta dopo l’intervento”, ha aggiunto Lucia Del Mastro, Professoressa di Oncologia dell’Università di Genova e direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’Ospedale Policlinico San Martino.

Lo studio monarchE (N=5.637) ha incluso donne e uomini con tumore del seno HR+, HER2-, linfonodo-positivi e con un alto rischio di recidiva. La popolazione candidata al trattamento (intention-to-treat, ITT) comprendeva i pazienti arruolati sia nella Coorte 1 che nella Coorte 2, con la Coorte 1 (N=5.120) che rappresentava il 91% di tutti i pazienti arruolati. La Coorte 1 ha arruolato pazienti in base a specifici fattori clinico-patologici (≥4 linfonodi ascellari [ALN] positivi, o 1-3 ALN positivi e malattia di grado 3 o dimensioni del tumore ≥5 cm). La coorte 2 ha arruolato pazienti con 1-3 ALN positivi ed espressione del Ki-67 determinata centralmente ≥20% (definito nello studio come "Ki-67 alto"). Il Ki-67 è un marcatore della proliferazione cellulare. I dati presentati al SABCS comprendono anche i risultati della popolazione della Coorte 1 (approvata da EMA).

Anche per quanto riguarda i dati sulla sopravvivenza (OS), i numeri sono confortanti: sono stati osservati meno decessi nel braccio abemaciclib con ET (157 [5,6%]) rispetto al braccio di monoterapia con ET (173 [6,1%]). Nel braccio abemaciclib con ET si è verificato un minor numero di decessi per tumore al seno rispetto al braccio di sola ET, 117 (4,2%) contro 138 (4,9%). Quasi il doppio dei pazienti nel braccio di controllo ha sviluppato e vive con malattia metastatica rispetto a quelli che hanno ricevuto abemaciclib. Il follow-up è in corso fino alla valutazione finale della OS. 

Come precedentemente pubblicato sul Journal of Clinical Oncology e successivamente aggiornato su Annals of Oncology, lo studio monarchE ha raggiunto l'endpoint primario registrando un miglioramento statisticamente significativo dell'IDFS nella popolazione ITT per i pazienti trattati in adiuvante con abemaciclib più ET rispetto a quelli trattati con sola ET. In accordo con le linee guida, l'IDFS è stata definita come il periodo di tempo che intercorre prima che si verifichi una recidiva del tumore, che si sviluppi un nuovo tumore o che si verifichi il decesso. Il 1° Aprile 2022, EMA ha approvato abemaciclib in associazione alla terapia endocrina per il trattamento adiuvante di pazienti adulti con carcinoma mammario in fase iniziale, HR, HER2-, linfonodo-positivo, ad alto rischio di recidiva secondo i criteri della coorte 1 dello studio in oggetto.

Gli eventi avversi (AE) più frequentemente descritti nel braccio abemaciclib sono stati diarrea, neutropenia e affaticamento; artralgia, vampate di calore e affaticamento nel braccio di controllo; gli AE di grado 3-4 più comuni sono stati neutropenia, leucopenia e diarrea nel braccio con abemaciclib e artralgia, neutropenia e aumento delle ALT nel braccio di sola ET.

 

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di Rossella Gemma

Buone notizie dal Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia (SIN): al centro dei lavori i risultati di importanti studi scientifici che promettono decisivi progressi in ambito neurologico grazie a nuove opportunità diagnostiche e terapeutiche.

A partire dalla Malattia di Alzheimer, per la quale la comunità scientifica internazionale accoglie favorevolmente i recentissimi esiti positivi degli studi sulle terapie biologiche dirette nei confronti di alcune forme di amiloide e ribadisce l’essenzialità della diagnosi precoce per individuare i pazienti candidabili alle nuove cure. Ulteriori aggiornamenti anche in campo preventivo per rallentare l’esordio della demenza, grazie alla combinazione della stimolazione cognitiva con una dieta ipolipidica associata ed esercizio fisico (Studio FINGER).

Dal 2018 il gruppo di ricerca de La Sapienza di Roma, guidato dal Professor Berardelli, inseguiva la possibilità di individuare in maniera non invasiva un biomarcatore diagnostico precoce della malattia di Parkinson identificando la proteina anomala alfa-sinucleina, prima possibile solo tramite biopsia gastroenterica o della ghiandola salivare, dove sembra si concentri prima di diffondersi al cervello. Recentemente, è stato ottenuto un risultato mai visto prima: tramite il test salivare si ottiene non solo la diagnosi precoce, ma addirittura un indice prognostico, ossia una previsione della progressione della malattia. I ricercatori romani hanno infatti scoperto che dall’analisi di particolari componenti salivari e dei loro rapporti rispetto alla concentrazione di alfa-sinucleina si può fare una previsione del decorso altamente affidabile. L’alfa-sinucleina oligomerica è il marker d’eccellenza che, con una sensibilità quasi del 100% e una specificità del 98,39%, può distinguere chi è in fase iniziale di malattia da chi non è affetto, con un'accuratezza diagnostica complessiva pari al 99%.

Risultati notevoli sono stati annunciati anche per il Morbo di Parkinson, grazie alla ricerca tutta italiana: da oggi, attraverso l’analisi della saliva, non solo si potrà fornire una diagnosi precisa ma addirittura prevedere la progressione della malattia.

Rimanendo nel campo della prognosi, anche in merito all’emicrania sono stati individuati marker serici in grado di far capire quali pazienti corrono il rischio di arrivare a una cronicizzazione del mal di testa a causa dell’abuso di farmaci. Per questa patologia, inoltre, è ormai assodato il ruolo fondamentale dei nuovi farmaci per la terapia di prevenzione, finalizzati alla riduzione della frequenza e dell’intensità degli attacchi, come la tossina botulinica e gli anticorpi monoclonali diretti contro il CGRP.

Tra i temi congressuali anche gli ultimi aggiornamenti sullo studio Neurocovid SIN che ha indagato sulla relazione tra Covid e sistema nervoso, le malattie neuromuscolari, il ruolo centrale del sonno nelle patologie neurologiche, e le più recenti innovazioni in tema di intelligenza artificiale.

“Al Congresso Nazionale di quest’anno – commenta il Prof. Alfredo Berardelli, Presidente della Società Italiana di Neurologia – stiamo assistendo alla presentazione di numerosi studi scientifici realizzati da neurologi italiani, piuttosto rilevanti dal punto di vista della ricaduta clinica. Il nostro Paese, infatti, nonostante i fondi siano limitati, è tra i più attivi nel campo della ricerca scientifica in neurologia e si posiziona al 5° posto a livello mondiale per la produzione di studi dopo USA, Cina, Germania e Gran Bretagna. L’emergenza della crescita delle patologie neurologiche legata all’invecchiamento della popolazione è un tema molto attuale sul quale i neurologi della SIN si confrontano costantemente per cercare di migliorare la vita dei pazienti non solo dal punto di vista delle cure ma anche da quello dell’assistenza, estremamente importante in un’epoca in cui l’età media della vita si è allungata in maniera considerevole”.

Le patologie neurologiche, al centro del Congresso Nazionale, impattano fortemente sulla popolazione: 12 milioni gli italiani che sono affetti da disturbi del sonno; oltre 6 milioni le persone che soffrono di emicrania, 2/3 circa delle quali donne; 1 milione coloro che convivono ogni giorno con la Malattia di Alzheimer e che hanno bisogno di costante assistenza;  400.000  le persone colpite dal Morbo di Parkinson; la sclerosi multipla affligge circa 90.000 donne e uomini che devono convivere ogni giorno con i sintomi di una malattia che induce disabilità progressiva, ma anche con le difficoltà legate ai servizi sanitari e assistenziali; numeri ugualmente preoccupanti sono quelli che descrivono i casi di ictus, quasi 200.000 nuovi casi ogni anno e circa 1 milione di persone che vivono con gli esiti invalidanti della malattia.

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di Rossella Gemma

E’ stata pubblicata sugli Annals of General Psychiatry (1) la ricerca italiana condotta su 1281 medici italiani di varie specialità che hanno riferito l’impatto della pandemia sulla salute mentale di pazienti e soggetti ‘naive’, sani. Tale ricerca fa parte di un ampio progetto multidisciplinare, chiamato Serendipity, realizzato grazie al contributo non condizionante di Viatris.

L’indagine, condotta tra novembre 2021 e febbraio 2022, ha coinvolto 1.281 clinici delle seguenti specialità: psichiatri, neuropsichiatri, neurologi, geriatri, medici di medicina generale e pediatri, chiamati a rispondere a un questionario online. E’ così emerso che l’81,2% degli specialisti intervistare ha visto aumentare il disagio psichico tra le persone che si sono rivolti per chiedere supporto,  con un peggioramento delle proprie condizioni nel 75,3% di quelli che avevano un disturbo preesistente. Questi ultimi hanno dovuto fare i conti anche con numerose comorbidità: si sono infatti presentate anoressia, bulimia, disturbi di panico e fobie. Minore incidenza invece si è avuta per l’uso di sostanze.

Più protetti gli anziani over 65: solo il 7,4% ha chiesto un aiuto o ha visto peggiorare la propria salute mentale, probabilmente a causa della protezione offerta sin dall’inizio come soggetti più a rischio e con fragilità.

“Isolamento prolungato, incertezza, interruzione delle relazioni sociali, stress, hanno avuto un impatto negativo sulla salute mentale degli italiani come nelle popolazioni di tutto il mondo” - hanno commentato gli autori del lavoro. “Depressione, ansia e stress sono stati i problemi segnalati più spesso nella prima ondata, ma non sono mancati peggioramenti dell’umore ed episodi di panico e fobie negli ultimi due anni. Va ricordato anche che l’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad essere colpito e che le persone hanno dovuto affrontare sfide senza precedenti con oscillazioni emotive che sono andate dalla speranza alla delusione, dalla preoccupazione per sé e i propri casi ad oggettive difficoltà economiche e lavorative. Uno tsunami emotivo prolungato che ha messo alla prova la tenuta psicologica degli italiani”.

“Siamo lieti di avere supportato questa ricerca che evidenzia l’impatto della pandemia sulla salute mentale delle persone e l’importanza di mantenere alta l’attenzione: la salute mentale è, infatti, una delle aree su cui Viatris è fortemente impegnata, in collaborazione con istituzioni, associazioni e altri partner, per aumentare la consapevolezza e abbattere lo stigma su questi temi” - ha spiegato Fabio Torriglia, Country Manager di Viatris in Italia. “Viatris guarda alla sanità non così com’è oggi, ma come dovrebbe essere in futuro: vogliamo contribuire ad ampliare l’accesso alle cure di cui le persone hanno bisogno, indipendentemente dal contesto in cui vivono, con l’obiettivo finale di realizzare la nostra mission di consentire alle persone nel mondo di vivere una vita più sana in ogni sua fase”.

Peggiorate le condizioni di chi aveva già disturbi mentali per il 75,2% dei medici intervistati ma non solo: la prevalenza di ansia è stata rilevata nel 33% nella popolazione generale e la depressione nel 28% in tutto il mondo. In Cina, ad esempio, tra il 7 e il 58% della popolazione non contagiata ha sperimentato disagio fisico o psicologico con disturbi d’ansia o dell’umore, insonnia, preoccupazione, fobie e sintomi fisici.  D’altro canto, la letteratura ha rivelato che anche alle precedenti epidemie come la SARS nel 2003 e l’influenza H1N1 del 2010 si sono accompagnati pesanti carichi psichici sino allo sviluppo di attacchi di panico. Lo stress emotivo è stato correlato al senso di incertezza, le quarantene, la mancanza di un trattamento efficace. Interessante notare il ruolo negativo delle fake news: disinformazione e false informazioni sui vaccini circolate sui social media sono risultati correlati a maggiore carico psicologico nella popolazione dei giovani e delle donne: circa l’82% dei soggetti più esposti ai messaggi dei social hanno mostrato livelli più elevati di ansia e depressione. 

La ricerca aveva lo scopo di indagare l’efficacia delle strategie a supporto messe in atto, al fine di individuare modelli organizzativi efficaci per il futuro. A questo proposito l’OMS ha sottolineato l’importanza di rafforzare il ruolo dell’assistenza primaria con una pianificazione atta a promuovere la salute per tutti i cittadini. In particolare appare strategico il ruolo del MMG nell’intercettare i segnali di disagio e attivare azioni sinergiche con gli attori interessati con una azione di governance a livello regionale così come previsto dal Piano Nazionale per la Prevenzione (PNP). 

“Nel momento in cui non è stato più possibile ricorrere a visite in presenza, sono state attivate nuove risorse come le videochiamate e/o la psicoterapia a distanza a cui sono afferiti sia pazienti con pregresse diagnosi di disagio o patologia conclamata che pazienti naive (alla loro prima visita): siamo andati dal garantire le visite con l’adozione di protezione individuale e ambientale all’incremento sia dei contatti che della reperibilità personale e telefonica e psicoterapia da remoto”. La pandemia ha dato un impulso alla telemedicina in psichiatria e psicologia sia in acuto che per eseguire controlli farmacologici e follow up.

Interrogati su “cosa ci attende nel futuro”, i 1.281 specialisti ritengono necessario non distogliere l’attenzione: il burden of disease del disagio mentale potrebbe aumentare nei prossimi 12/24 mesi sia con un aumento delle malattie legate allo stress che con un peggioramento delle condizioni cliniche di quelli già diagnosticati. Nonostante ciò, è stata osservata una discreta capacità di fronteggiare gli eventi negativi e di mettere a punto strategie di coping con uno sviluppo di resilienza anche grazie alla capacità dei clinici italiani di dare con nuove strategie supporto psicologico e psichiatrico.