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News Letter dell'ordine

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di Rossella Gemma

L'Agenzia europea del farmaco (EMA) ha raccomandato l’autorizzazione all’immissione in commercio al vaccino anti-Covid della francese Valneva, basato su virus inattivato-adiuvato, per la vaccinazione primaria dai 18 ai 50 anni di età. “Dopo un'approfondita valutazione - informa l'Agenzia - il Comitato per i medicinali a uso umano (CHMP) ha concluso che i dati sul vaccino sono "solidi" e soddisfano i criteri UE per "efficacia, sicurezza e qualità". La parola ora spetta alla Commissione europea, che "affretterà il processo decisionale su un'autorizzazione all’immissione in commercio standard per il vaccino di Valneva, consentendo che sia incluso nei programmi di vaccinazione di tutta l'UE".

 Gli studi sul vaccino di Valneva, che hanno coinvolto quasi 3mila persone di età pari o superiore a 30 anni, hanno mostrato che il vaccino dell'azienda francese innesca la produzione di anticorpi contro il ceppo originale della Sars-CoV-2. Ulteriori dati degli studi hanno indicato che il vaccino Valneva è efficace nella produzione di anticorpi sia nella fascia di età compresa tra i 18 e i 29 anni che negli over-30. Sulla base dei dati forniti - precisa l'ente regolatorio europeo - non è stato possibile trarre alcuna conclusione sull'immunogenicità del vaccino Valneva nelle persone di età superiore ai 50 anni, pertanto il prodotto è attualmente raccomandato per l'uso nei 18-50enni. Gli effetti collaterali osservati negli studi sono stati generalmente lievi e si sono risolti entro un paio di giorni. In base alle informazioni disponibili, gli esperti del CHMP hanno ritenuto positivo il rapporto rischi-benefici derivante dalla somministrazione del vaccino Valneva.

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di Rossella Gemma

Una neoplasia ancora poco nota in tutto il pianeta e che, in Italia, colpisce ogni anno 9.000 uomini e 4.500 donne. E’ il carcinoma renale che, nel 55% dei casi si presenta alla diagnosi confinato solo al rene mentre fino nel 30% dei casi ha già sviluppato metastasi.

Sette pazienti su dieci vivono a cinque anni dalla diagnosi e possono essere considerati guariti. Preoccupa però la casualità legata all’individuazione della patologia oncologica. Il 60% dei casi (8.100 ogni anno) viene scoperto durante esami medici svolti per altri problemi di salute. Per sensibilizzare l’attenzione di pazienti, caregiver, istituzioni, personale medico-sanitario e cittadini si è celebrata il 16 giugno la Giornata Mondiale contro il Tumore del Rene. L’evento, dal titolo “We need to talk about treatment options”, è stato promosso dall’International Kidney Cancer Coalition (IKCC), rete internazionale e indipendente di associazioni di pazienti provenienti da quasi 45 Paesi diversi.

“Negli ultimi anni è stata ampliata e perfezionata la gamma di cure disponibili – ha spiegato Tonia Cinquegrana, Presidente e una delle fondatrici di ANTURE, Associazione Nazionale tumore del rene che ha organizzato la conferenza stampa virtuale, grazie al sostegno non condizionato di Ipsen S.p.A. -. Tutti i dati dimostrano chiaramente un continuo miglioramento dei tassi di sopravvivenza in Italia, fin dall’inizio degli anni 90. Abbiamo però ancora tante sfide da affrontare per incrementare le chances dei pazienti a cominciare dal numero di diagnosi precoci che deve essere incrementato. Vi è poi un problema di qualità di vita, durante e dopo le cure, che deve essere sempre garantita. A seconda della tipologia di tumore, del suo stadio e delle priorità del malato ci sono diverse opzioni di trattamento. Diversi studi scientifici hanno dimostrano che i risultati migliori si ottengono quando i pazienti e i medici prendono insieme le decisioni terapeutiche”.

Secondo un recente sondaggio mondiale dell’IKCC l’89% dei pazienti con tumore del rene prenderebbe in considerazione l’idea di far parte di una sperimentazione clinica. Tuttavia, a meno della metà viene fatta questa richiesta. “Gli studi clinici sono fondamentali per aumentare le nostre conoscenze sul cancro e al tempo stesso possono fornire ai malati l’accesso a trattamenti innovativi – ha aggiunto il prof.  Giuseppe Procopio, Direttore dell’Oncologia ASST di Cremona -. Per questo duplice obiettivo la ricerca è fondamentale e deve essere sempre promossa. L’incremento della sopravvivenza è dovuto all’introduzione delle terapie target innovative che, nell’ultimo decennio, ci ha permesso di contrastare anche i casi in fase avanzata della malattia”.

“Nel tumore renale la chemioterapia e la radioterapia sono risultate da sempre poco efficaci e il loro utilizzo è scarso – ha precisato il prof. Sergio Bracarda, Presidente Incoming della SIUrO – Società Italiana di Urologia Oncologica -. L’introduzione dei farmaci biologici prima e poi di quelli immunoterapici ha rivoluzionato la pratica clinica nonché restituito speranza a milioni di uomini e donne in tutto il mondo”.

“Il carcinoma renale non può più essere sottovalutato – ha concluso Camillo Porta, Professore Ordinario di Oncologia Medica all’Università Aldo Moro di Bari e Direttore della Divisione di Oncologia Medica del Policlinico di Bari -. Come per altre neoplasie non è possibile avviare campagne di screening su fasce, più o meno ampie, della popolazione. Resta perciò un’altra preziosa arma nelle nostre mani che è la prevenzione primaria e quindi gli stili di vita sani. Sono documentati da molte ricerche i collegamenti tra la malattia e alcune abitudini scorrette come il fumo di sigaretta, l’obesità o l’eccesso di peso o l’abuso di alcol oltre che con patologie molto diffuse come l’ipertensione arteriosa o la malattia cistica renale”.

ANTURE per continuare a sensibilizzare la popolazione sul tumore del rene ha realizzato una serie di video con le testimonianze dirette dei pazienti (https://www.youtube.com/watch?v=-4SEMRVjBRQ).

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di Rossella Gemma

Continuano le operazioni dei Nas, di concerto con il ministero della Salute, per il contrasto alla vendita illecita on line di farmaci legati al Covid-19. Anche dopo la cessazione dello stato di emergenza e la progressiva riduzione delle misure emergenziali, il mercato virtuale veicolato dalla rete Internet si conferma  fonte di commercio e approvvigionamento di farmaci, molto spesso non autorizzati, che vantano proprietà in grado di prevenire e curare diverse patologie.

L'attività investigativa dei Nas sinora condotta ha portato nel 2022, i militari del reparto operativo a eseguire in totale 61 provvedimenti di blocco all'accesso dal territorio nazionale, ovvero di 'oscuramento'.

Sulle vetrine virtuali dei siti oscurati erano offerti medicinali legati alla cura del Covid-19, a base di principi attivi soggetti a particolari restrizioni d'uso e specifiche indicazioni d'impiego clinico o sperimentale in relazione all'infezione da Sars-Cov-2. Tra i medicinali soggetti a prescrizione obbligatoria e presentati sui siti oscurati, anche alcuni a base di ioduro di potassio, indicati in casi di carenza di iodio, e altri contenenti tossina botulinica utilizzabili solo sotto controllo di personale sanitario, nonché dispositivi medici iniettabili per via sottocutanea, i filler, a base di acido ialuronico, anch'essi riservati all'esclusivo impiego da parte di sanitari. Gli interventi di blocco hanno compreso altri siti web connessi con l'illecita offerta on line di medicinali veterinari.

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di Rossella Gemma

Settant’anni dal loro primo utilizzo e una storia che parla di certezze e di nuovi campi di applicazione. Si tratta dei farmaci cortisonici, efficaci contro le forme gravi di Covid-19 e in patologie come il cancro e l’Alzheimer, ma ancora legati a gravi effetti collaterali nei trattamenti a lungo termine. Ne parlerà durante il suo intervento al 15th World Congress on Inflammation, previsto a Roma dal 5 all’8 giugno, Carlo Riccardi, presidente della Società Italiana Farmacologia e professore di Farmacologia all’università di Perugia. L’evento è organizzato da SIF insieme all’International Inflammation Societies con una lettura plenaria dal titolo “Gluticorticoidi e infiammazione”. Fra i più utilizzati nel trattamento di numerose patologie croniche come il morbo di Crohn o le malattie reumatiche, i cortisonici sono dei potenti antinfiammatori e immunosoppressivi. “Se, in generale, i cortisonici - spiega il Prof. Riccardi - possono essere considerati, di fatto, dei salvavita in caso di infiammazione acuta e in situazioni di emergenza, questo vale anche per le forme più severe di Covid-19, tanto che l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha raccomandato l’uso in pazienti gravi che richiedono l'ossigenoterapia, in presenza o meno di ventilazione meccanica". Durante il suo intervento, infine, Riccardi porrà la propria attenzione sulle proprietà dei cortisonici, capaci di agire sul processo di morte cellulare. Una proprietà che permette il loro impiego anche per malattie degenerative come l’Alzheimer.

 

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di Rossella Gemma

Resta alta l'allerta internazionale per il propagarsi del virus del vaiolo delle scimmie, anche se al momento la situazione e' considerata "sotto controllo". Continuano infatti ad aumentare i casi confermati o segnalati che, ad oggi, hanno superato i 200 nel mondo, mentre in Italia i contagi sono saliti a nove. Intanto, l'epidemia di Covid-19 allenta ancora la morsa ed il numero dei contagi e' ulteriormente in calo sia pure a fronte di una scarsa risposta alla vaccinazione con le terze e quarte dosi per le categorie indicate. Sul fronte delle infezioni da vaiolo delle scimmie, un primo caso e' stato identificato oggi anche in Emilia-Romagna e porta a nove il numero totale dei casi confermati nel nostro Paese. I pazienti presi in carico dall'Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma sono sei e "la buona notizia e' che, soprattutto i primi, gia' stanno guarendo", ha comunicato Francesco Vaia, direttore generale dello Spallanzani, secondo il quale la quarantena per il vaiolo delle scimmie non serve. Infatti, "deve essere isolato solamente chi e' malato: bisogna andare avanti con l'innovazione, la nostra sanita' deve essere capace di andare avanti, altrimenti e' il Medioevo", ha detto. Non c'e' inoltre alcuna esigenza di "corsa al vaccino: il fenomeno e' contenuto e di lieve entita', e la letalita' - ha spiegato l'esperto - e' veramente bassa e legata a problemi principalmente immunitari".

Che non ci sia al momento alcun allarme lo ribadisce anche il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri: "La situazione e' decisamente sotto controllo, questo virus e' completamente diverso dal SarsCov2, a partire dal fatto che non si trasmette per via aerea, e per questo motivo e' molto improbabile che si crei una pandemia come quella da Covid". Il numero di casi confermati in tutto il mondo ha intanto raggiunto la cifra di 219, non considerando i Paesi in cui la malattia e' endemica. Sono 19 i Paesi, la maggior parte in Europa, che hanno segnalato almeno un caso confermato, secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). "La maggior parte dei casi sono riscontrati in giovani uomini che si dichiarano omosessuali. Non ci sono stati decessi", specifica l'agenzia europea.

 

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di Rossella Gemma

“L’infanzia rischia di estinguersi”. Il monito arriva dalla Sip, Società Italiana di Pediatria, riunitasi a Sorrento per il 77° Congresso Nazionale. "Ben 600.000 bambini in meno in 15 anni - ha dichiarato la presidente SIP, Annamaria Staiano - circa 1,4 milioni di studenti in meno in 12 anni, nascite crollate sotto la soglia dei 400.000 nuovi nati nel 2021. I pediatri non possono stare a guardare, siamo in prima linea per fronteggiare questa emergenza socio-demografica".

Come sta avvenendo per altre specialità anche in Pediatria, “un numero crescente di medici ospedalieri decide di lasciare il proprio incarico per dedicarsi al territorio o all’attività privata.  Questo fenomeno definito ‘Great Resignation’, esarcebato dalla pandemia, ha molte cause, tra cui il burnout dovuto a turni massacranti, le continue aggressioni, la scarsa gratificazione economica, etc” spiega la Presidente SIP. “Abbiamo però le risorse per ripartire: i nostri specializzandi” afferma Staiano. “Dobbiamo dare atto agli ultimi governi di un aumento sempre maggiore delle borse di specializzazione. Negli ultimi 8 anni il numero è triplicato passando da 357 nel 2014 a ben 954 nel 2021. L’aumento degli specializzandi rappresenta una straordinaria possibilità per il mondo della Pediatria del futuro, che ci pone davanti a responsabilità formative molto precise”.

Staiano affronta poi nel suo discorso di apertura anche il tema delle sub specialità pediatriche per gestire l’aumento delle patologie croniche. “Sarebbe importante riconoscere sul piano normativo il valore legale delle sub specialità pediatriche come già avviene in altri Paesi europei.  A tal fine la SIP ha redatto un documento attualmente al vaglio del Ministero della Salute”, aggiunge la Presidente SIP. “I bambini hanno il diritto di essere curati da professionisti adeguatamente formati per l’assistenza ai soggetti in età evolutiva. Per questo è cruciale il riconoscimento della figura del pediatra sub specialista (esempio pediatra cardiologo, pediatra allergologo, pediatra gastroenterologo, endocrinologo ecc) che può far fronte all’aumento di bambini e adolescenti con patologie croniche e gestire adeguatamente la transizione dall’infanzia all’adolescenza”.

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di Rossella Gemma

Come si replica indisturbato il virus SARS-CoV2 nel nostro organismo? Secondo il gruppo di ricerca dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli, guidato da Antonella De Matteis, il virus lo fa costruendosi una sorta di “tana”, sfruttando le membrane della cellula ospite. In questa nicchia il virus può replicare indisturbato il proprio patrimonio genetico a base di RNA, al sicuro dai sistemi di controllo della cellula ospite. L’importante scoperta offre la possibilità di avere un nuovo bersaglio per i farmaci.

Il lavoro, pubblicato sull’importante rivista scientifica Nature, oltre che dalla Fondazione Telethon è stato supportato dalla Regione Campania e dal Ministero dell'Università e della Ricerca ed è una conferma di come una ricerca scientifica costante e lo scambio di informazioni all’interno della comunità scientifica portino a risultati di eccellenza. “Questo lavoro conferma come le malattie genetiche rare siano un modello straordinario per studiare meccanismi cellulari di base che potrebbero quindi giocare un ruolo importante anche in malattie comuni come il Covid-19” commenta la dottoressa De Matteis.

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di Rossella Gemma

Quasi due anni di attesa per una mammografia, circa un anno per una ecografia, una tac, o un intervento ortopedico. E a rinunciare alle cure nel corso del 2021 è stato più di un cittadino su dieci. Screening oncologici in ritardo in oltre la metà dei territori regionali e coperture in calo per i vaccini ordinari.

È il lascito della pandemia, una emergenza che ancora non abbiamo superato, come mostra il “Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità”, presentato oggi da Cittadinanzattiva.

Il Rapporto di quest’anno si presenta in una veste nuova e fornisce una fotografia della sanità vista dai cittadini, unendo due analisi: una afferente alle 13.748 segnalazioni giunte, nel corso del 2021, al servizio PiT Salute e alle 330 sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato; l’altra finalizzata ad esaminare, da un punto di vista civico, il federalismo sanitario per descrivere i servizi regionali dal punto di vista della articolazione organizzativa, della capacità di amministrare e di fornire risposte ai cittadini in termini di servizi e assistenza sanitaria.

“Durante la pandemia abbiamo fatto i conti con una assistenza sanitaria che, depauperata di risorse umane ed economiche, si è dovuta concentrare sull’emergenza, costringendo nel contempo le persone a “rinunciare” a programmi di prevenzione e di accesso alle cure ordinarie. Ancora oggi abbiamo la necessità di recuperare milioni di prestazioni e i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi”, dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva. “Allo stesso tempo la pandemia ha evidenziato anche alcune priorità di intervento, prima fra tutte quella relativa alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oggetto di riforma con il PNRR e di acceso dibattito. Tuttavia, occorrerà una lettura attenta dei contesti territoriali, individuando percorsi e non solo luoghi che favoriscano servizi più accessibili e prossimi ai cittadini, puntando molto sulla domiciliarità come luogo privilegiato delle cure, per avere maggiore attenzione alla qualità della vita. La carenza di servizi, la distanza dai luoghi di cura, tipica di alcune aree del paese, come pure la complessità delle aree urbane e metropolitane impongono un’innovazione dei modelli organizzativi sanitari territoriali”. Della riforma dell’assistenza territoriale e della necessità di recuperare le prestazioni ordinarie sospese a causa del Covid, si parlerà anche nell’evento sulla campagna “Torniamo a curarci” di Cittadinanzattiva, in programma il prossimo 12 maggio all’interno di Exposanità a Bologna.

Liste di attesa per le cure ordinarie, ritardi nella erogazione degli screening e dei vaccini, carenze nell'assistenza territoriale sono i primi tre ambiti nei quali si sono concentrate, nel corso del 2021, le 13.748 segnalazioni dei cittadini. Nello specifico questo il dettaglio degli ambiti maggiormente segnalati: l’accesso alle prestazioni (23,8%), la prevenzione (19,7%), l’assistenza territoriale (17,4%), l’assistenza ospedaliera e mobilità sanitaria (11,4%), al quinto posto la voce altro (9,8%) che comprende la somma di differenti segnalazioni (accesso alle informazioni e alla documentazione, prestazioni assistenziali, agevolazioni/lavoro, malattie rare). Seguono sicurezza delle cure e presunta malpractice (8%), costi delle cure (5%), relazioni con operatori sanitari ed umanizzazione (3,8%) e farmaci (1,1%). 

Sul sito web www.cittadinanzattiva.it è possibile scaricare il Rapporto civico sulla salute 2022 e il relativo Abstract. 

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di Rossella Gemma

Gli italiani colpiti da ictus vanno incontro a molte difficoltà nella fase di riabilitazione che segue l’evento acuto. Tuttavia, l’89% dei pazienti dichiara di aver riscontrato miglioramenti, sia neurologici che fisici, in seguito ai trattamenti riabilitativi. Ben il 34% considera l’esperienza insufficiente e il 17% giudica scarsa la propria qualità di vita.

La metà dei malati chiede inoltre più informazioni sulle terapie riabilitative e anche un rapporto più continuativo con lo specialista neurologo. Oltre il 38% inizia il recupero in una struttura sanitaria diversa rispetto a quella in cui è avvenuto il ricovero. Questi alcuni dei dati contenuti in una survey svolta on line su 250 pazienti, assistiti in strutture sanitarie dell’intero territorio nazionale. L’indagine, promossa da ISA-AII | Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus, è stata presentata al Ministero della Salute nel corso di un evento che ha visto la partecipazione dei massimi specialisti sulla malattia.

“L’ictus può essere sconfitto grazie alla prevenzione, ad un intervento terapeutico tempestivo e alle cure innovative oggi disponibili – ha sottolineato Mauro Silvestrini, Presidente ISA-AII -. In Italia riusciamo a garantire un’ottima assistenza grazie alla preparazione dei medici specialisti e a una rete di centri di assoluto livello. Esistono tuttavia ancora margini di miglioramento su alcuni aspetti che sono fondamentali nella gestione di una patologia pericolosa ed invalidante come l’ictus. Fino al 38% dei pazienti presenta spasticità ad oltre un anno dall’evento e le difficoltà nell’accesso alle terapie specifiche sono state ben evidenziate nella nostra indagine. Ci pare quindi importante proseguire in una campagna di informazione e sensibilizzazione incentrata proprio sulla riabilitazione e la qualità della vita. Si tratta di temi finora trascurati tanto nella pratica clinica che nella comunicazione”. Il progetto di ISA-AII, che ha visto diverse iniziative, rivolte sia ai clinici che ai pazienti, vede la presentazione di uno spot di grande impatto, realizzato con l’attore Massimo Lopez. Nei mesi scorsi è stata inoltre realizzata una survey su 250 medici. Uno su tre confessa di non avere a disposizione PDTA-protocolli-linee guida per indirizzare i malati nei reparti di riabilitazione. Il 38% invece lavora in unità neurovascolari dove non viene effettuata una presa in carico riabilitativa, prima della dimissione del paziente. Sei medici su dieci ammettono di non sapere se esistono normative regionali per la definizione di un percorso riabilitativo. “Problemi organizzativi e strutturali rendono difficile ottenere terapie in grado di migliorare sensibilmente la qualità di vita – prosegue il Prof. Danilo Toni, Past President ISA-AII -. Preoccupano anche i ritardi che si accumulano, visto che per il 64% degli specialisti trascorrono in media più di sette giorni dal momento del ricovero in fase acuta all’arrivo nel reparto di riabilitazione. Quest’ultima è davvero una fase complessa della malattia e contempla diversi possibili trattamenti: si può agire con lo stretching e il rinforzo muscolare oppure con il ricorso ad altri interventi fisici. La gestione del dolore avviene attraverso la somministrazione di analgesici specifici. Esistono anche delle terapie farmacologiche contro la spasticità come i miorilassanti ad azione periferica, tra cui spicca la tossina botulinica. Considerando tutte queste opzioni, e le problematiche inerenti, a nostro avviso sono necessari dei percorsi prestabiliti a livello regionale o nazionale. Solo così si potrà gestire in maniera uniforme la riabilitazione dei malati sull’intera Penisola”.

Ogni anno in Italia 185.000 persone vengono colpite da ictus. Rappresenta la prima causa di disabilità e tra le prime tre di morte, insieme alle malattie cardiache e al cancro.

 

 

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di Rossella Gemma

Italiani più depressi a causa della pandemia e a risentirne sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni. E’ questo il risultato di uno studio realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato sulla rivista Journal of Affective Disorders.

E’ il primo studio italiano, e uno dei pochi al mondo, ad esaminare l’andamento dei sintomi depressivi durante la pandemia in campioni rappresentativi della popolazione generale adulta in un arco temporale lungo. Sono state effettuate oltre 55.000 interviste dal 2018 al 2020. I risultati hanno mostrato un incremento dei sintomi depressivi nel bimestre marzo-aprile 2020 con una prevalenza del 7,1% rispetto al 6,1% del 2018-19, seguito da un decremento (4,4%) nel bimestre maggio-giugno, dopo la revoca del lockdown, e poi da un nuovo e più cospicuo incremento in luglio-agosto (8,2%). Infine è stato rilevato un ritorno graduale, entro la fine del 2020, ai livelli registrati nel biennio prima della pandemia: 7,5% nei mesi di settembre-ottobre e 5,9% a novembre-dicembre.

I dati rilevano nella popolazione italiana una buona resilienza di fronte allo stress generato dalla pandemia; un più severo peggioramento, rispetto agli anni precedenti, è stato però osservato in alcune categorie demografiche, in particolare nei giovani (18-34 anni), nelle donne e in coloro che vivono difficoltà economiche.