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del dott. Alberto Volponi

La battaglia contro il vaiolo, malattia altamente infettiva e letale causata dal virus variola, nelle due varianti maior e minor, è ufficialmente finita nel 1979 quando l'OMS ha dichiarato la malattia eradicata. Per secoli il vaiolo ha accompagnato la storia dell'uomo e mietuto milioni di vittime. Sue notizie si hanno a partire dal 3000 a.c. e tracce di una possibile infezione da vaiolo sono state rinvenute nella mummia del faraone Ramses V. L'Europa fu interessata dalla malattia solo nel medioevo con episodiche epidemie che, a partire dal 1500, assunsero forme endemiche propagandosi in tutto il mondo. L'arma per sconfiggere definitivamente questo flagello è stato il vaccino. La storia del vaccino contro il vaiolo è ben nota. Si deve all'intuizione di Jenner, medico inglese, che osservò come i contadini che avevano contratto il vaiolo vaccino, trasmesso loro dalle pustole delle mucche per via della mungitura, non contraevano il ben più grave vaiolo umano. Scelse come cavia il figlio del suo giardiniere, un bambino di otto anni, e, attraverso dei graffi provocati sul braccio, inoculò del liquido prelevato dalle pustole vaiolose delle mammelle di una vacca (da qui il nome vaccino). Il piccolo ancorché esposto a casi di vaiolo umano non si ammalò. Un esperimento certo rischioso, oggi giustamente improponibile e inaccettabile, ma che ebbe lo straordinario merito di aprire la strada ai vaccini, una categoria di indispensabili presidi contro le malattie infettive, così chiamati da Pasteur, in omaggio proprio allo Jenner, quando nel 1885 creò quello contro la rabbia. L'idea che piccole dosi di sostanze liquidi o frammenti essiccati di croste di vescicole vaiolose, magari soffiate nel naso, creassero una qualche difesa contro la malattia era diffusa già da secoli sia in Cina che in India. Era la cosiddetta variolizzazione, sconosciuta in occidente. Solo all'inizio del 1700 grazie a Lady Worthey Montagu, moglie dell'ambasciatore inglese in Turchia, e al suo impegno nel convincere in primis l'aristocrazia inglese a mettere in atto questo pratica conosciuta nel suo soggiorno turco, si diffuse in tutta Europa. Certamente non così efficace come il vaccino di Jenner ma il principio terapeutico era lo stesso. Un recente libro di Maria Teresa Giaveri, "Lady Montagu e il dragomanno" ci fa rivivere l'appassionata e avventurosa storia di questa intraprendente e risoluta Lady inglese ai tempi di re Giorgio I. Il vaiolo, come tutte le malattie infettive, è stata una malattia "democratica". Ha colpito, anche se senza gravi conseguenze, illustri personaggi da Mozart a Beethoven, Washington e Lincoln; colpì Stalin a cui lasciò sul volto, butterato, tracce evidenti che solo l'uso di abbondanti fondotinta, e ritocchi fotografici, resero meno repellente. A partire dal 1958 si intraprese, su forte sollecitazione dell'OMS, una intensa campagna di vaccinazione su scala mondiale che si concluse nei due decenni successivi. La nostra generazione, quella immediatamente post-bellica, fu investita in pieno dal programma vaccinale che avveniva con il metodo della scarificazione: una serie di rapide punture in un'area molto circoscritta sulla faccia laterale del braccio sinistro, con un ago immerso precedentemente in una soluzione vaccina. Si formava, a distanza di una settimana, una piccola vescicola con pus e quando si cominciava a essiccare lasciava il posto a una crosta che, alla fine della terza settimana, cadeva. Rimaneva una indelebile cicatrice, a mò di bottone, che ancora orna il nostro braccio. L'operazione avveniva nell'ambulatorio comunale con il medico di famiglia nella sua veste di Ufficiale sanitario. Aspettavamo trepidanti il nostro turno lungo un corridoio. La stanza del medico, dalle pareti piastrellate di bianco, le sedie, gli sgabelli, il lettino, tutti smaltati di un bianco avorio. Nessun bambino, ancorché intimorito per l'ambiente e forse anche un po' storditi dal forte odore di acido fenico usato, a dosi massicce, come disinfettante, piangeva. In fondo non era dolorosa e poi, visto con quanto orgoglio i compagni che l'avevano già fatta mostravano i segni sul braccio, quasi medaglie al valore, non si poteva non essere coraggiosi. Ben diversa la vaccinazione antidifterica dove, al contrario, i pianti  dei bambini diventavano urla e strepiti, che nessuna promessa di giocattoli, caramelle, gelati riusciva a frenare. Il terrore era instillato dallo strumento che doveva affondare nei piccoli glutei: una siringa di vetro presa dal bollitore con un ago che, per grandezza, avrebbe fatto comodo alla materassaia di fronte all'ambulatorio. Alla vaccinazione antivaiolosa e antidifterica si aggiunse presto quella contro la poliomielite, il cui primo vaccino fu sviluppato da Salk nel 1955 e perfezionato, due anni dopo, da Sabin. Nel 1971, grazie a Hilleman, microbiologo statunitense che non ebbe la notorietà di altri suoi colleghi ma il cui nome è legato a ben quaranta tra vaccini animali e umani, arrivò il vaccino trivalente contro morbillo - parotite - rosolia. Dieci anni dopo sempre Hilleman ci regalò il vaccino contro l'epatite B. Vaccinazioni a gogò che si dovevano fare e si facevano, senza discussione alcuna. Mai sentito che qualcuno in casa,a tavola, avanzasse riserve di alcun tipo, né c’erano dibattiti in merito alla radio (la televisione era nata da poco e non era ancora il "nuovo focolare" cantato da Arbore in "La vita è tutta un quiz"). Per questo non sappiamo immaginare come i bambini di oggi, costretti a ben 10 vaccinazioni obbligatorie (legge 119/2017), e quattro vivamente consigliate, fra cui due per i diversi ceppi di meningococco, riescano a capire qualcosa di un dibattito sulla vaccinazione anti Covid che molti mettono in discussione. Un dibattito probabilmente surreale per loro che sono obbligati a plurivaccinarsi mentre gli adulti "opinano" appellandosi addirittura all'art. 32 della Costituzione. Come spesso accade le norme, anche le più chiare - e quelle scritte nella Costituzione lo sono come non mai - vengono tirate a proprio piacimento e convenienza. Esiste, certo, il diritto costituzionale alla libertà di cura ma è solo il secondo comma del citato articolo 32. Il primo comma sancisce per tutti i cittadini il diritto alla salute che, ovviamente, è premiante rispetto alla libertà di cura, libertà che deve essere regolamentata in senso restrittivo quando si rischia di mettere in discussione l'altro diritto, alla salute, da cui esso discende. Rimane difficile comprendere perché per i cittadini Italiani da 0 a16 anni non valga il diritto costituzionale reclamato dai no-vax e dai ni-vax. Ai bambini non stiamo offrendo un grande spettacolo e, stranulati, ci guardano. Ci potrebbe aiutare a capire meglio il delicato rapporto fra grandi e bambini  rivedere il film di De Sica del 1943,proprio dal titolo: "I bambini ci guardano", un film che aprì le porte alla grande stagione del neorealismo italiano. I bambini, come nel film, ci guardano, ci osservano, ci giudicano e speriamo che non sempre ci imitino. Il rifiuto al vaccino anti Covid non è un grande esempio di solidarietà: non bisogna dimenticare che la libertà individuale è tale quando è espressa nell'ambito della comunità, un legame che oggi, come non mai, deve prevalere. (Articolo pubblicato sul numero di Gennaio/Febbraio 2021 de "La Pelle")