Tutto cominciò con la legge 833/78 del Ministro Tina Anselmi, quando nacquero le Usl, unità sanitarie locali, amministrate da un Comitato di gestione espressione diretta delle rappresentanze comunali, con un'ampia responsabilità gestionale e una discreta autonomia di programmazione. Nove anni dopo il Ministro Donat Cattin, novembre 1987, presentò il disegno di legge 1942 "Modifiche all'ordinamento del Servizio Sanitario Nazionale" che introduceva il concetto di Usl ente-azienda, prevedendo la figura del Direttore Generale con ampi poteri gestionali e con un rapporto di lavoro di tipo privatistico. Il disegno di legge ebbe un lungo iter parlamentare che si concluse solo nel dicembre del '92, Ministro De Lorenzo, con il decreto legislativo 502. Gli organi delle Usl sono, a questo punto, il Direttore Generale e il Collegio dei Revisori, collocando così le Unità sanitarie locali, in via pressoché esclusiva, nell'orbita regionale, e di fatto sciogliendo i vincoli territoriali. La Usl da ente espressione delle comunità locali, che storicamente aveva gestisto l'assistenza sanitaria, dagli ospedali alle condotte mediche, diventa, nominalisticamente, azienda e si "configura come ente strumentale della Regione". Il successivo dlgs 517del dicembre '93, Ministro Garavaglia, conferma l'impianto del 502, in particolare per quanto riguarda gli organi dell'azienda. Il processo di regionalizzazione della sanità è completato ma non certo quello dell'aziendalizzazione che da qui in poi subirà una netta inversione di marcia sancita dal dlgs 229/99, verso uno svuotamento dei poteri gestionali e di programmazione delle cosiddette Aziende sanitarie locali. Un decreto legislativo, voluto dal Ministro Bindi, pasticciato e confuso inventa, con enfasi, l'atto aziendale come espressione di un'autonomia delle ASL impossibile nella logica di una stringente programmazione regionale e di un neo-centralismo amministrativo altamente burocratizzato. Le regioni hanno accelerato sulla strada di uno svuotamento dell'autonomia delle ASL tanto che hanno deciso, nel tempo, una progressiva riduzione attraverso processi di accorpamento non sempre logici e funzionali e qualcuna, più coerentemente, ha pensato che poteva essere sufficiente un'unica ASL regionale. La Val d'Aosta da sempre, successivamente la provincia di Trento, da 2 a 1, quella di Bolzano da 4 a 1, le Marche da 13 a 1, il Molise da 4 a 1. D'altronde se il potere decisionale è tutto nelle mani della Regione e i Direttori Generali sono sempre di più, nella loro estrazione e formazione professionale, espressione dei ruoli regionali e di fatto dei semplici terminali periferici delle decisioni centralistiche della Regione, non si vede proprio la necessità di tenere in piedi una pluralità di enti che hanno, poi, perso collegamenti reali con il territorio se non per le polemiche che suscitano iniziative regionali di cui il Direttore Generale è un mero esecutore e infine solo cireneo. E ora, se permettete, una nota personale. Non nascondo una profonda amarezza per questa involuzione del processo di ammodernamento della sanità italiana nei suoi sistemi erogatori, e Dio solo lo sa di quanto ne avremmo bisogno di migliori e più efficienti, ripensando a quando nel presentare alla Camera, come relatore, il ddl di Donat Cattin, affermavo: "Io condivido, senz'altro, come d'altra parte le forze politiche e sociali fanno ormai concordemente, l'esigenza di intervenire sull'assetto istituzionale delle Unità sanitarie locali, allo scopo di metterle nelle condizioni di gestire efficacemente il budget di risorse finanziarie e umane che è ad esse conferito. Si tratta di far filtrare nell'organizzazione pubblica della sanità quegli elementi di privato, selezionati secondo una scelta politica che ci compete e che giudico strategica rispetto alla futura funzionalità del Servizio Sanitario Nazionale, utili a rendere qualitativa, dentro la cornice dell'unitarietà e della globalità dell'intervento sanitario, l'erogazione dei servizi al cittadino. Che il sistema sia incagliato nelle secche di una burocratizzazione massiccia e autoalimentata è certo. Il rifugiarsi dietro la stantia pratica della formalizzazione crescente delle procedure e conseguentemente dei controlli è segnale inequivocabile di crisi di organizzazione”. Un vecchio amico, collega medico, tempo fa mi rimproverava: "Albè, me ce avevi fatto crede". “Mi dispiace, Artù, ci avevo creduto veramente anch'io”.
Pubblicato su La Pelle n. 9, 2015