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di Rossella Gemma

L’Area critica e l’Area terapia intensiva sono certamente quelle in cui sono maggiormente occupati gli specialisti anestesisti-rianimatori. Secondo i dati SIAARTI, infatti, il 54% degli iscritti alla Società riconoscono la Rianimazione e la Terapia intensiva come il proprio principale ambito di lavoro. «Il Congresso nazionale ICARE 2023, che durerà fino a domani 28 ottobre, è un momento di divulgazione scientifica e crescita professionale, importante anche per le tematiche inerenti l’area critica» – spiega il Responsabile del Comitato scientifico SIAARTI, Andrea Cortegiani. «Vi vengono discussi gli aspetti più innovativi, importanti e spesso controversi – sul piano scientifico o etico – su tematiche legate all’attività clinica di tutti i giorni, oltre che le più importanti pubblicazioni scientifiche recenti, con spazio di dialogo su applicazione clinica e spunti per ricerche future».

Tra i temi affrontati in questo ambito, sicuramente l’importanza della “personalizzazione” delle cure in pazienti affetti da sepsi e shock settico, l’insufficienza respiratoria con necessità di supporto respiratorio, nonché i metodi con i quali poter “fenotipizzare” la diagnosi e la terapia su pazienti critici per una cura personalizzata. «Per garantire le migliori cure ai nostri pazienti, affronteremo la fondamentale discussione sulla qualità del nostro lavoro di anestesisti-rianimatori», continua Cortegiani. «In questo ambito, si fa sempre più spesso ai concetti di “fatigue”, cioè la stanchezza, la demotivazione e il burnout che – in una percentuale crescente di colleghi – accompagnano il nostro lavoro, e di “well-being”, cioè alla necessità di perseguire anche il benessere del personale sanitario, a causa del loro impatto sulla qualità delle cure prestate ai pazienti, soprattutto in area critica».

Quello su cui si concentra sempre più l’attenzione della disciplina è infatti un approccio ancora più olistico al paziente critico, che è stato affrontato ad esempio nella sessione dedicata al cosiddetto bundle ABCDE. «Il senso del bundle ABCDEF è quello di definire una serie di azioni coordinate nella presa in carico di un paziente in condizioni critiche che consideri tutti gli aspetti della cura, non solo medica ma anche infermieristica, non solo di interventi sanitari ma anche di umanizzazione delle cure, non solo della funzione di organi importanti per la sopravvivenza ma dell’intera persona», spiega con chiarezza Nicola Latronico, Responsabile dell’Area culturale SIAARTI Rianimazione e Terapia intensiva. Ma in quale modo? In cosa consiste? «Il bundle è una serie di processi che include la valutazione, prevenzione e trattamento del dolore, della sedazione e della ventilazione, della scelta più adeguata dei farmaci analgesici e sedativi, del delirium, della mobilizzazione precoce e, non ultimo, del ruolo della famiglia, sia come parte attiva del progetto di cura che come oggetto di cura: le famiglie sono essenziali per creare il rapporto fiduciario con un’équipe che il paziente non ha potuto scegliere, ma esse stesse devono essere sostenute lungo il cammino tribolato e incerto che auguralmente consentirà il recupero del paziente», risponde Latronico.

Un altro tema affrontato nel Congresso ICARE è infatti quello della “vita dopo la terapia intensiva” e degli effetti a lungo termine dopo la dimissione da questi reparti. «Oggi la mortalità in terapia intensiva è ridotta per molte patologie una volta letali», continua ancora Latronico. «Ciò ha determinato il fatto che molti pazienti sopravvivono ad un evento acuto come il trauma, la sepsi e il distress respiratorio con esiti che possono persistere a lungo dopo la dimissione dall’ospedale, o anche per sempre».

Qual è l’impatto di un ricovero in terapia intensiva sui pazienti dopo la dimissione? «La sindrome post-terapia intensiva descrive una serie di alterazioni in campo fisico, cognitivo e mentale che si sviluppano nei sopravvissuti della terapia intensiva e che impattano in modo negativo sulla qualità di vita», risponde Latronico. «La debolezza muscolare, il senso di prostrazione e affaticamento, i disturbi della memoria e del linguaggio, lo stress post-traumatico, le alterazioni del sonno e della sfera sessuale, per citarne alcuni, non solo alterano profondamente il vissuto quotidiano delle persone e la ripresa del lavoro, ma sono solo di rado riconosciuti come entità patologica unitaria; più spesso i pazienti sono costretti ad affrontare frammenti delle loro esperienze patologiche con differenti medici specialisti».

Riconoscere la sindrome post-terapia intensiva è oggi una priorità assoluta per i pazienti, ma anche per il sistema sanitario nazionale e per il campo della ricerca. Conoscere l’esistenza del problema è il primo passo per poterlo curare, anche individuando gli ambiti e le strategie per migliorare i percorsi clinici-organizzativi nelle diverse aree regionali. «Tra i temi che saranno discussi sia dal punto di vista delle evidenze scientifiche e che della applicabilità organizzativa nelle diverse macroaree regionali ci sono infatti proprio gli ambulatori di follow-up per i pazienti dimessi dalle terapie intensive», spiega Vito Torrano, Responsabile della Macroarea Nord di SIAARTI. Ma in cosa consistono tali ambulatori e per quali motivi potrebbero avere un impatto tanto importante sul sistema sanitario? «Essi rappresentano un elemento importante per il recupero dei pazienti dimessi dalle terapie intensive e per il loro recupero nell’autonomia delle attività della vita quotidiana e possono avere un impatto importantissimo sui sistemi socio-sanitari», continua Torrano.
L’introduzione degli ambulatori di follow-up dei pazienti dimessi dalle terapie intensive è un elemento che può offrire spunti di riflessione e dialogo con i pazienti e con le istituzioni: è questa la sfida che SIAARTI, anno dopo anno, continua a lanciare.