di Rossella Gemma
“I tanti tipi di stress a cui sono sottoposti gli astronauti, le variazioni a cui vanno incontro tutti gli apparati e la impossibilità di monitorare e intervenire in tempo reale in situazioni di emergenza, fanno sì che il soggiorno nello Spazio rappresenti un modello di studio per pazienti fragili, impossibilitati a muoversi e che devono mettere in atto procedure mediche in maniera autonoma”. La conferma arriva da Gianluca Trifirò, Professore Ordinario di Farmacologia all’Università di Verona e Lucia Morbidelli, Professoressa Ordinario di Farmacologia all’Università degli Studi di Siena, entrambi soci della Società Italiana di Farmacologia - SIF - che sottolineano come “la sfida spaziale porterà a notevoli migliorie nella gestione della salute pubblica, come ha già fatto in passato con tante tecnologie innovative che ci aiutano nella vita di tutti i giorni”.
La Ricerca Spaziale Biomedica ci ha permesso di realizzare o migliorare molte tecnologie, dalle lenti antigraffio e fotocromatiche, ai termometri a infrarosso, alla analisi delle microcalcificazioni nelle mammografie, fin alle tecniche avanzate di imaging funzionale, ai microsensori ed ai dispositivi medici ad autolettura. Ma può servire anche per lo studio dei farmaci da usare sulla Terra? “Riguardo ai farmaci – spiegano Trifirò e Morbidelli - oltre all’aggiustamento del dosaggio e alla scelta dei principi attivi più adatti, una sfida riguarda le tecnologie della ricerca di nuovi medicinali in assenza di gravità e lo sviluppo di formulazioni per un uso efficace e sicuro”.
E nello Spazio, invece, che farmaci si possono e si devono assumere? “Nello spazio i farmaci servono sia per il trattamento di sintomi che si possono verificare comunemente - aggiungono dalla SIF - che per eventuali situazioni di emergenza come traumi ed emorragie. Nei kit medici forniti agli astronauti, in particolare, vengono inclusi farmaci per trattare disturbi del sonno, allergie, cinetosi spaziale, nausea, dolore e congestione sinusale. Il volo spaziale comporta alterazioni nella fisiologia umana con conseguenti modifiche farmacocinetiche, come assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione del farmaco, e farmacodinamiche, cioè l’effetto farmacologico in risposta all’interazione del farmaco con il suo specifico bersaglio molecolare. Tutto ciò può inevitabilmente avere un impatto sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci”.
Negli ultimi anni le agenzie spaziali stanno lavorando molto per ampliare gli attuali confini del volo spaziale umano con missioni anche su Marte. “La ricerca nell’ambito dell'astrofarmacia contribuisce a rendere l'esplorazione umana nello spazio sicura e accessibile. Abbiamo approfondito questo tema nell’ultimo numero di Sif Magazine (https://www.sifweb.org/sif-magazine/articolo/viaggi-nello-spazio-e-farmaci-quanto-contano-e-cosa-cambia-per-il-loro-uso-intervista-al-prof-gianluca-trifiro-e-alla-dott-ssa-federica-soardo-2024-01-25) pubblicato sul sito della Società Italiana di Farmacologia e realizzato in collaborazione con l’Unione Astrofili Napoletani”, concludono i professori Gianluca Trifirò e Lucia Morbidelli.
L’astrofarmacia si occupa dello sviluppo di farmaci e trattamenti medici utilizzabili in condizioni di microgravità e valuta la sicurezza di questi nello spazio. In Italia, pochi atenei propongono lo studio di questa materia. Tra questi vi sono l’Università degli Studi di Padova con un corso di perfezionamento “MAS - Medicina Aeronautica e Spaziale” e l’Università degli Studi di Napoli Federico II con un Master di II livello in medicina aerospaziale.
Inoltre, proprio all’Università di Verona, già a partire dagli anni ’90, il Professore di farmacologia Giampaolo Velo si era interessato alla space pharmacology come nuova frontiera della farmacologia.