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di Rossella Gemma

L’emicrania è una patologia neurologica disabilitante che, nonostante il suo impatto sulla vita delle persone che ne soffrono e sulla società, resta ad oggi sotto diagnosticata e spesso non adeguatamente trattata. Diverse le cause, su tutte la poca informazione e la difficoltà di una corretta diagnosi e di accesso ad un centro specializzato sul territorio. Si è affrontato questo tema dal punto di vista di pazienti, clinici e istituzioni, durante l’evento “Emicrania: nuove prospettive per il paziente tra innovazione, ricerca e opportunità normative”, organizzato da Lundbeck Italia a Roma presso il Palazzo Theodoli e moderato da Raffaella Cesaroni, giornalista di Sky TG24.

“Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'emicrania rappresenta la terza patologia più frequente e la seconda più disabilitante. Colpisce circa il 14-15% degli adulti in tutto il mondo con una prevalenza tre volte maggiore nelle donne”, ricorda Paolo Calabresi, Direttore dell’Unità Operativa Complessa Neurologia, Professore Ordinario dell’Istituto di Neurologia Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Past President della Società Italiana Studio Cefalee (SISC). Colpisce anche le fasce più giovani e nonostante il suo impatto sia elevatissimo da ogni punto di vista (umano, sociale ed economico), ancora oggi viene definita patologia 'invisibile'.  L’emicrania è causa di assenteismo a scuola e al lavoro, comporta difficoltà nelle relazioni sociali e di coppia, può generare solitudine, ansia e associarsi a depressione.

L’emicrania episodica è una malattia neurologica ad alto rischio di cronicizzazione se non curata in modo adeguato. Quando poi si presenta in forma cronica, comporta grave disabilità, elevati costi e rischio di uso eccessivo di farmaci sintomatici. Questo uso eccessivo di farmaci rappresenta una malattia nella malattia. “Le conseguenze della terapia inadeguata, evidenziate dal Registro Italiano dell’Emicrania – spiega Piero Barbanti, Direttore dell'Unità per la Cura e la Ricerca su Cefalee e Dolore, IRCCS San Raffaele, Roma; Professore Associato di Neurologia, Università San Raffaele, Roma; Presidente dell’Associazione Italiana per la Lotta contro le Cefalee - sono nomadismo sanitario (ovvero pazienti che vagano per centri cefalee alla ricerca di una cura); visite specialistiche frequenti, ma inutili (una media di 18 specialisti diversi per chi abbia almeno 25 giorni di emicrania al mese); esami diagnostici non necessari o erronei nel 95% dei casi, di cui 8-9 volte su 10 a carico del Servizio Sanitario Nazionale”.

In questo contesto, “l’arrivo di anticorpi monoclonali anti-CGRP – afferma il Prof. Barbanti - sta cambiando in maniera rapida ed irreversibile la terapia perché permette di ridurre il numero di attacchi, diminuendone anche intensità e durata”. Ma anche in questo campo l’innovazione è ancora in corso. Dopo la disponibilità delle formulazioni sottocutanee è stato di recente autorizzato in Italia il primo anticorpo monoclonale anti-CGRP a somministrazione endovenosa. Con la determina 440 del 20 giugno 2023, l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha riconosciuto la rimborsabilità per questo trattamento per la profilassi dell’emicrania nei pazienti adulti.  “Presenta alcune rilevanti specificità - precisa il Prof. Barbanti - permette una somministrazione in 30 minuti, 4 volte all’anno, ovvero una ogni 3 mesi (12 settimane). Ha una particolare rapidità di insorgenza dell’effetto profilattico, correlabile al peculiare profilo farmacocinetico dovuto alla via di somministrazione endovenosa, e un effetto preventivo sostenuto nel tempo. La sua efficacia preventiva è stata provata sia per l’emicrania episodica che cronica, in presenza o meno di uso eccessivo di analgesici e di fallimenti di precedenti terapie antiemicraniche preventive”. Inoltre, aggiunge il Prof. Barbanti, “il favorevole profilo di tollerabilità e sicurezza di eptinezumab è stato provato anche nel lungo termine, come mostrano i dati, fino a 2 anni dall’inizio del trattamento”.

“Secondo l’OMS, l'emicrania da sola è la causa principale di disabilità in tutto il mondo in pazienti di età inferiore a 50 anni. La sua fisiopatologia - afferma Alessandro Padovani, Professore Ordinario di Neurologia dell'Università di Brescia e Presidente eletto della Società Italiana di Neurologia (SIN) - è complessa. Tuttavia, è ormai chiaro il ruolo centrale dell’attivazione delle vie trigemino-vascolari, che provoca il rilascio di sostanze vasodilatatrici, proinfiammatorie e neuropeptidi divenuti i target principali nel trattamento della patologia. Infatti, negli ultimi anni sono stati sviluppati farmaci che agiscono sul peptide CGRP (peptide correlato al gene della calcitonina). Gli anticorpi monoclonali e i gepanti neutralizzano il CGRP oppure bloccano il suo recettore e, di conseguenza, agiscono antagonizzando un meccanismo centrale nella patogenesi dell’emicrania. Grazie a questi farmaci e all’utilizzo della tossina botulinica – prosegue il Prof. Padovani - si è aperta una nuova era nel campo delle cefalee, creando le condizioni per trattamenti precisi e personalizzati per la prevenzione dell’emicrania, con miglioramento dell’efficacia e del profilo di sicurezza e tollerabilità”.

L’emicrania, definita anche malattia ‘invisibile’, ha effetti però molto concreti sia sulle persone che ne sono affette che indirettamente sui loro familiari, influenzandone la qualità di vita. Inoltre, quando diventa cronica, l’emicrania è associata a un maggiore onere economico globale dovuto alla perdita di produttività lavorativa e all’aumento delle spese sanitarie. “Guardando all’Italia - afferma Francesco Saverio Mennini, Research Director Eehta del Ceis, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Presidente della Società Italiana di Health Technology Assessment (Sihta) - i dati di letteratura stimano un costo annuo complessivo per paziente (costi diretti e perdite di produttività) equivalente a circa € 11.300, più alto rispetto a pazienti con diabete (circa € 8.300) o di pazienti con insufficienza renale cronica (range € 7.000-9.600). Il costo diretto annuale di chi ha la forma cronica è 4,8 volte superiore a quello di chi ne soffre in modo episodico (€ 2.037 contro € 427).  Le giornate di ridotta capacità produttiva incidono per il 64,6% sul totale dei costi indiretti. La consapevolezza dei costi di una patologia così invalidante – aggiunge Mennini - dovrebbe essere, per la politica e le istituzioni, motivo per prendere decisioni informate sul modello assistenziale e sulle risorse da destinare per supportare percorsi di cura adeguati, presa in carico precoce dei pazienti, senza dimenticare i bisogni ancora insoddisfatti che, se non affrontati per tempo e con terapie adeguate, determineranno un ulteriore incremento dei costi tanto per il welfare che per i pazienti e i caregiver”.