di Rossella Gemma
In un caso su tre i tumori del colon-retto, anche quelli più aggressivi e che non rispondono alle terapie a bersaglio molecolare note, potrebbero trovare beneficio dall’impiego di farmaci mirati ai sistemi di risposta al danno del DNA che nelle cellule tumorali in parte risultano difettosi rendendo i sistemi ‘superstiti’ essenziali per la sopravvivenza del cancro. Ad aprire la strada a questa nuova strategia terapeutica è una ricerca dell’IRCCS di Candiolo (TO) appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Clinical Cancer Research dell’American Academy of Cancer Research, condotta su ben 112 linee cellulari di tumori del colon-retto differenti per il profilo genomico. I risultati, confermati su organoidi derivati da pazienti, indicano che farmaci mirati a proteine coinvolte nei sistemi di riparazione del DNA potrebbero diventare una concreta risposta per molti pazienti a oggi senza opportunità terapeutiche: principi attivi di questo tipo sono già in fase I-III di sperimentazione clinica. Anche per questo motivo, secondo gli autori sarebbe opportuno ipotizzare l’uso di un “biomarcatore composito”, che includa la valutazione di alcuni di questi possibili target terapeutici, così da stratificare più razionalmente i pazienti con tumore al colon-retto e identificare quelli che avrebbero la maggiore probabilità di trarre un beneficio clinico dall’uso dei nuovi farmaci mirati ai sistemi coinvolti nella riparazione del danno al DNA.
“Abbiamo effettuato un screening farmacologico utilizzando principi attivi mirati a proteine coinvolte nei sistemi di riparazione del DNA, alcuni già in sperimentazione clinica in fase I-III, in 112 modelli preclinici di tumore del colon-retto differenti per profilo genetico, che includevano linee cellulari e organoidi realizzati a partire da campioni tumorali di pazienti – spiega Alberto Bardelli, IRCCS Candiolo e Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, coautore dello studio – I dati mostrano che circa il 30% dei casi, inclusi quelli refrattari alle attuali terapie, potrebbe rispondere ad almeno uno di questi farmaci di nuova generazione in grado di inibire la funzione di diverse proteine coinvolte nella riparazione del danno del DNA. È importante sviluppare nuove metodologie diagnostiche che consentano di identificare chi potrebbe beneficiare di questo tipo di terapie, per le quali sono già in corso studi clinici per dimostrarne la reale efficacia sui pazienti: un biomarcatore che valuti i diversi bersagli possibili potrebbe aiutare a stratificare il rischio e individuare i candidati che potrebbero rispondere meglio al trattamento. La strada è ancora lunga, ma questi risultati pongono le basi scientifiche e sperimentali per nuove e più efficaci terapie da applicare in futuro anche ad altri tipi di tumore”.